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IN TEMPO DI CORONAVIRUS

I testi della liturgia, una ricchezza per meditare sull’oggi

In questi giorni di epidemia, le autorità non permettono di partecipare alla Santa Messa, ma i fedeli possono comunque trarre beneficio dalla profondità dei testi liturgici. Nella III Domenica di Quaresima, la liturgia ci presenta infatti brani ricchi spiritualmente e che offrono una preziosa occasione di riflessione su quello che stiamo vivendo. A partire dall'antifona di ingresso che è Oculi mei semper ad Dominum

Ecclesia 15_03_2020

Sappiamo che in questi giorni siamo costretti a casa per via dell’epidemia di coronavirus o Covid-19. Su disposizione delle autorità, per evitare assembramenti, ai fedeli non è permesso partecipare alle Messe. In questo caso possiamo comunque, anche se in modo indiretto, beneficiare della ricchezza della liturgia, come nella terza domenica di Quaresima, che ci presenta testi che sono non solo ricchi spiritualmente, ma che ci offrono una preziosa occasione di riflessione anche su quello che stiamo vivendo.

Intanto ricordiamo che la stazione quaresimale in questa domenica è a San Lorenzo fuori le Mura, la Basilica minore in Roma che è accanto al cimitero del Verano e in cui è sepolto Pio IX. L’antifona di ingresso nelle due forme del rito romano è Oculi mei semper ad Dominum: “I miei occhi sono sempre rivolti al Signore, perché libera dal laccio i miei piedi. Volgiti a me e abbi misericordia, Signore, perché sono povero e solo”. E non è un laccio che abbiamo ai piedi quello di questa epidemia? Un’epidemia che ci costringe a rinunciare ad alcune libertà a cui siamo abituati. Quindi questo senso di affidamento a cui ci chiama l’introito è oggi più che mai necessario.

Nella colletta leggiamo: “Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia”. Ancora viene ribadito questo importante concetto del riconoscimento delle nostre colpe come condizione per ottenere misericordia da Dio.

Nella prima lettura, dal libro dell’Esodo (ci riferiamo alla forma ordinaria, i riferimenti alla forma straordinaria saranno segnalati appositamente), il popolo mormora contro Mosè perché non avevano acqua, ma Dio interviene. Anche a noi ci sembra a volte di dover disperare ma bisogna sempre riconoscere che Dio può intervenire in ogni momento e decidere di cambiare il corso delle cose. Nel salmo responsoriale, alcuni versi tratti dal salmo 94 ci richiamano a quell’episodio: «Se ascoltaste oggi la sua voce! “Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere”».

E questo tempo di prova ci dà veramente l’occasione per ascoltare la Sua voce, per poter meditare sempre più i Suoi precetti. Nella «forma straordinaria» del rito romano, il graduale, che segue l’epistola, ci dice con i versetti del Salmo 9: “Sorgi, o Signore, non trionfi l’uomo: siano giudicate le genti al tuo cospetto. Voltano le spalle i miei nemici: stramazzano e periscono di fronte a Te”. Questa fiducia che noi oggi dobbiamo avere nel Signore non è naturalmente sfiducia nella scienza, anzi il contrario. Dio si serve anche della perizia degli scienziati per perseguire i suoi disegni.

Nella seconda lettura (tornando alla forma ordinaria), leggiamo un passo dalla lettera di san Paolo ai Romani: “Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l'accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. La speranza, ecco una virtù che veramente necessita a noi tutti, in un tempo in cui la speranza sembra quasi mancare.

Nel Vangelo di Giovanni, ci sembra quasi di sentire il nostro grido nell’episodio della Samaritana: «Gesù le risponde: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”. “Signore - gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”». Ecco, quest’acqua è prefigurazione dell’Eucaristia di cui in questo tempo siamo privati.

Da menzionare anche il tractus che nella «forma straordinaria» precede la lettura del Vangelo, tratto dal Salmo 122, che non può non farci pensare alla nostra odierna situazione: “Sollevai i miei occhi a Te, che hai sede in cielo. Ecco, come gli occhi dei servi sono rivolti verso le mani dei padroni. E gli occhi dell’ancella verso le mani della padrona: così i nostri occhi sono rivolti a Te, Signore Dio nostro, fino a che Tu abbia pietà di noi. Abbi pietà di noi, o Signore, abbi pietà di noi”.

Tornando alla forma ordinaria, l’antifona alla Comunione ci richiama al dovere per l’amore verso la casa di Dio, in cui oggi quasi non possiamo entrare viste le misure fortemente restrittive sui nostri spostamenti: “Il passero trova la casa, la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio. Beato chi abita la tua casa: sempre canta le tue lodi”. Oggi non sembra un richiamo a quello che questa situazione ci fa quasi perdere? Eppure, pur non potendo sempre abitare la Sua casa fisicamente, possiamo sempre farlo spiritualmente, nella preghiera e nella meditazione spirituale. E sperare sempre, con ogni nostra fibra, che Dio interceda per la nostra miseria.