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CARCERI

I radicali marciano. Il governo latita

I Radicali compiono a Roma la loro marcia per amnistia e indulto. Coinvolgendo poche centinaia di persone, ma molti Vip (come il loro elettorato: piccolo ed elitario). Ma svuotare le carceri, senza riforme, non ha alcun senso.

Politica 28_12_2013
Pannella alla Marcia di Natale

Il Ministro degli Esteri italiano rompe gli indugi e si reca in India, per dare il suo sostegno politico a favore dei due militari italiani segregati da quasi due anni da uno Stato straniero, che proprio in base alla sua parola avrebbero dovuto tornare dalle loro famiglie in questi giorni.

Sarebbe potuta essere questa la notizia del giorno di Natale. Invece è un’altra: il Governo Letta, attraverso la presenza di Emma Bonino, così come ha deciso di foraggiare Radio Radicale con 20 milioni di euro, erogati attraverso la legge di stabilità, ha legittimato l’ennesima marcia radicale che chiedeva l’amnistia e l’indulto.

Qualche centinaio di persone - che danno il polso del seguito di consensi dei radicali, vicini elettoralmente allo zero - affiancate però dalla loro rete di “amicizie”: dal Sindaco di Milano, che ha inviato il gonfalone, al vice-presidente della Camera Giachetti (quello dei digiuni prolungati sulla legge elettorale, ex braccio destro di Rutelli, ora riciclatosi con Renzi), al Sindaco di Roma, reduce dal suo viaggio a New York, dove, si dice, abbia imparato a come replicare nell’Urbe l’organizzazione della “Grande Mela”!

Hanno sfilato da San Pietro a Palazzo Chigi. “E’ ora che la politica s’interessi degli ultimi”, ha detto Pannella, appena uscito da uno dei tanti scioperi della fame e della sete, che conduce ad intermittenza, proprio come Gandhi. Non è dovuta ad un caso la scelta di partire da San Pietro: come fanno i relativisti da nove mesi a questa parte – da Scalfari a Odifreddi – si sono volute utilizzare le parole di Papa Francesco a proprio uso e consumo. “Meglio l’altra sponda del Tevere di questa partitocrazia e di questo potere”, dicono “atei devoti” come Pannella, sostenuti da cattolici ferventi (cappellani delle carceri, responsabili di comunità, ecc.), che su questa materia stanno con il leader radicale “senza se e senza ma”. Come se si potesse distinguere, nell’ambito di una cultura intrisa dall’ambizione di distruggere la libertà attraverso l’affermazione sfrenata del desiderio, quello che si può condividere o meno. Certo, chi propone il diritto all’aborto, propone anche la salvezza dei bambini che muoiono di fame, com’è accaduto negli anni ’80. Non lo fa perché è schizofrenico, ma perché applica una strategia di seduzione studiata a tavolino. Oggi, viene proposto il diritto a morire con dignità (leggi eutanasia) e, contemporaneamente, il diritto di vita negli istituti di pena.

Nel merito della questione dell’amnistia – richiamata più volte dallo stesso Giorgio Napolitano, che farebbe bene a rileggere il dibattito dell’Assemblea Costituente sugli articoli che riguardano l’ufficio del Presidente della Repubblica – va detto che il degrado attuale delle carceri italiane è il prodotto di decenni nei quali la politica, per scelta, ha evitato riforme strutturali nel campo della giustizia. Consentendo così la distruzione dei principi della certezza della pena e dello Stato di diritto, che sono a fondamento della civiltà occidentale. I palliativi demagogici e irresponsabili che vengono proposti - amnistia e indulto – oltre a ledere un altro principio cardine dello Stato democratico, quello della sicurezza sociale, non avrebbero altro effetto che aumentare la confusione in questa materia, che può essere affrontata solo con la riforma del processo, sia civile che penale.

Nel frattempo, uno Stato degno di questo nome, invece di “liberare” i detenuti, potrebbe occuparsi – magari con un decreto legge – della riforma della custodia cautelare; dell’estensione, per chi è in carcere, della possibilità di accedere a misure alternative, come i servizi sociali, ampliando le norme che già esistono e rimuovendo gli ostacoli che lo impediscono (com’è accaduto, di recente, nel caso di Totò Cuffaro, ai quali sono stati negati i servizi sociali in base alla motivazione che non ha “collaborato”, in quanto detenuto per un reato di carattere mafioso, non importa se nei tre anni di carcere sia divenuto, in maniera evidente, un’”altra persona”); dell’applicazione più “allargata” possibile delle misure che consentono gli arresti domiciliari; del rinvio nel loro paese d’origine – in modo coatto – di coloro che commettono reati nel nostro territorio, che affollano in maniera significativa le nostre carceri. Sarebbero misure ragionevoli. Proprio per questo, non è prevedibile, di questi tempi, la loro applicazione. Si continuerà a marciare con Pannella e Bonino anche la prossima volta.