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I professionisti della rieducazione

Pubblicità Progresso lancia una campagna per la parità di genere, e invita tutti i cittadini a denunciare le pubblicità "scorrette". Si comincia con le donne: mai più ritratte nel ruolo di casalinghe. E la pornografia?

Cultura 01_02_2014
La nuova Pubblicità Progresso

Poiché, com’è noto, in Italia le emergenze sono quelle legate alle discriminazioni culturali, ecco partire una nuova campagna «Pubblicità & Progresso» tesa a promuovere la «parità di genere». Cito da comunicato stampa: «In questa settimana prende ufficialmente il via la nuova campagna promossa dalla Fondazione Pubblicità Progresso e firmata da Young&Rubicam Group, tutta sul tema del gender mainstreaming, per la valorizzazione del ruolo della donna nella società. Partono cinema, stampa, web e Tv Mediaset. A seguire Rai, Sky, altre reti Tv, radio e manifesti. Lanciato il concorso tra gli autori Siae per una canzone sulla parità di genere. Seguiranno social network e iniziative di marketing sociale non convenzionale».

Voi mi direte che quando si parla di «gender» si comincia con le donne e si sa dove si va a parare. Ma per ora sorvoliamo. Il comunicato comunica anche che «grazie al nuovo portale puntosudite.it possono essere segnalati e rimossi contenuti e campagne sessiste da pubblicità e YouTube oltre a reperire informazioni utili per raggiungere  la reale parità di genere».

Se si va sul portale segnalato, ecco campeggiare una foto con due personaggi: uno è un giovanotto barbuto che pare vestito da sposo, con doppiopetto scuro, cravattino nero, fiore all’occhiello bianco e fazzoletto d’identico colore al taschino. L’altro è una top model che stira in reggiseno ma senza mutande (tranquilli: dalle anche in giù è nascosta dall’asse da stiro) e guarda lui con astio. Il messaggio è chiaro: lui schiavizza lei, lei lavora e lui legge il giornale (chissà perché, stando in piedi anziché comodamente stravaccato in poltrona).

Lei nella foto sembra dire: mi hai appena sposato ed ecco qual è il mio ruolo. La foto, naturalmente, è barrata con un segno di croce rosso, per indicare che così non si fa. La modella di quella foto, in effetti, pare più adatta a seguire una carriera di, appunto, top model e finire compagna di uno o più calciatori consecutivi che a fare la casalinga. Stupisce, semmai, l’espressione di rimprovero, quasi che il ritrovarsi a fare la casalinga sia una sorpresa, un inganno perpetrato da lui che, prima, le aveva promesso chissacchè. Noi sappiamo bene che le cose non vanno mai così. Il fidanzamento è un tempo sufficiente perché lei sappia che vita farà dopo le nozze. E, anzi, magari potesse fare la casalinga… Invece, ormai, le cose sono tali che dovrà lavorare anche lei per faR campare la famiglia. Alla casa penserà la colf filippina.

Ma il messaggio della foto, dato per negativo, è questo: la peggior cosa che a una donna possa capitare è fare la casalinga. I «messaggi» pubblicitari, dunque, dovranno puntare a metterglielo bene in testa. A loro e ai loro uomini. Per questi ultimi, se non vogliono capire l’antifona, il sito puntosudite.it ha pronto questo paragrafo: «Segnala una pubblicità scorretta allo Iap». Che sarebbe l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, che «ha bisogno dell’aiuto dei cittadini grazie alle loro segnalazioni. Per segnalare una pubblicità ritenuta scorretta è sufficiente compilare e trasmettere il modulo on-line».

Altri paragrafi: «Segnala un video su Youtube» e «Segnala su Google+». Il cittadino è invitato a indicare tutto quel che vi trova e «che a suo parere è offensivo o violento nei confronti delle donne», onde chiederne la rimozione. Ci sarà da ridere quando qualche cittadino bene intenzionato comporrà su internet la parola «porn» e troverà milioni di immagini e video che offendono, eccome, le donne. Ne chiederà la rimozione? Una deputata europea, socialista, l’anno scorso presentò una mozione in tal senso e dovette lasciar perdere perché i computer della Ue furono letteralmente messi fuori uso dallo spaventoso numero di mail di protesta che ricevettero. Ma tant’è.

Coloro che occupano poltrone da «rieducatori» della società sono talmente tanti, ormai, che una spending rewiew ai loro danni provocherebbe terremoti. E se fai il rieducatore di mestiere, otto ore al giorno, è chiaro che sei stipendiato per inventarne sempre di nuove. Tanto, paga lo Stato. Il quale, vista la fuga degli imprenditori (cioè, di quelli che ci mettono i soldi), prima o poi si ritroverà con soli burocrati. E andrà a catafascio, come l’Urss, che era popolata solo da impiegati. Ma ai cultori del politicamente corretto ciò non interessa, il diluvio sarà dopo di loro. Intanto, tutti lavoriamo allegramente per creare un’inquisizione diffusa, gratuita e spontanea. Come in Pakistan.