Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Agnese da Montepulciano a cura di Ermes Dovico
MEDIO ORIENTE SENZA VELI

I palestinesi sono le vere vittime della Palestina

Un documentario israeliano dà voce semplicemente ai palestinesi che vivono nei territori contesi che stanno per essere annessi a Israele. Con gran sorpresa di tutti, chi risponde afferma di preferire Israele all'Autorità Palestinese, perché in quest'ultima la corruzione è troppo dilagante, mentre in Israele gli stipendi sono più alti e c'è ordine

Esteri 10_07_2020
Il muro fra Israele e Palestina

Formiche.net dell’8 giugno 2020 ha commentato e riportato in esclusiva, a firma di Gabriele Carrer, un documentario israeliano che, finalmente, ha dato voce alle vere vittime dell’eterno contrasto tra Israele e palestinesi: i palestinesi stessi. Ricordate il putiferio che si scatenò quando l’universalmente odiato Trump annunciò di voler portare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv  a Gerusalemme? Lo stesso accadde quando il premier Netanyahu lanciò il suo piano sull’Area C, definito senza mezzi termini «occupazione» ai danni dei poveri, sempre loro, palestinesi. In Italia fu subito varato un Intergruppo per la Pace in Medioriente, presieduto, ed è tutto dire, da Laura Boldrini, per il quale intergruppo l’«annessione» dell’Area C avrebbe spento ogni «speranza di pace. Hamas incitò subito alla solita intifada, l’Anp (Autorità nazionale palestinese) minacciò sfracelli e nuove ondate di violenza.

Invece? Invece non è successo niente. Il perché lo si capisce bene se si dà un’occhiata all’anzidetto documentario che l’esperto Zvi Yehezkeli, uno dei più informati giornalisti dell’eterna questione israelo-palestinese, ha personalmente girato per Channel 13, una rete televisiva israeliana. Il giornalista ha fatto la cosa più semplice del mondo: munito di una telecamera nascosta negli occhiali è andato a intervistare la gente comune nei villaggi palestinesi siti nella famigerata Area C, dove vivono 100mila persone, e ha chiesto loro cosa ne pensavano della situazione. La risposta, corale, è stata sorprendente per chi le notizie le apprende o beve solo dai media occidentali. In pratica, tutti gli intervistati hanno detto di star meglio con Israele che con l’Anp o Hamas. Stipendi più alti, condizioni di vita migliori, assenza di corruzione, più ordine, più onestà nei funzionari pubblici. Anzi, c’è chi dice chiaro e tondo che non vede l’ora di essere «annesso», così avrebbe la cittadinanza e con essa pieni diritti. Addirittura un poliziotto dell’Anp afferma papale: «In Israele c’è una legge, c’è ordine e autorità, e si vive bene». Un altro intervistato dichiara: «Israele è più clemente di loro» (riferendosi all’Anp). «Da noi  tutti vogliono tutto. Ognuno pensa a sé stesso. Per questo non avremo mai uno stato».

Purtroppo, quelli che, forse non sapendo della telecamera, hanno mostrato la faccia sono stati presi e portati in carcere a Betlemme e a Gerico subito dopo la trasmissione del documentario. Tutti gli intervistati, dall’operaio all’uomo d’affari, puntano il dito sulla corruzione: «Arriva denaro da Israele e dai Paesi dell’Unione europea, lo rubano e a noi ne danno soltanto un po’», è il lamento unanime. E, se non si vuol dar retta al documentario, basti pensare a quanto rivelato da Yasser Jadallah, ex direttore del dipartimento politico dell’Anp. Jadallah ha accusato i vertici dell’Anp di intascare gli aiuti provenienti dal ogni dove, anche dalla Ue. Non a caso l’uomo è in fuga ed è in attesa di asilo politico dal Belgio.

Insomma, la soluzione alla vexata quaestio (che purtroppo non è mai stata solo verbale) sarebbe quella proposta dallo scrittore israeliano Abraham Yehoshua nel 2016 sulle pagine del quotidiano Haaretz: dare la residenza ai palestinesi dei territori dell’Area C. E magari la cittadinanza. Naturalmente, non sarebbe cosa facile, perché molte carriere costruite sulla «questione» perderebbero ragione di esistere e la propaganda non avrebbe più a che appigliarsi. Per noi italiani è storia vecchia: cacciammo gli Asburgo perché i Savoia erano «italiani», salvo poi dover emigrare perché sotto l’Austria «gli stipendi erano più alti».