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L'ANTIDOTO

I MISTERI DI CAVOUR

La morte repentina di uno degli artefici del Risorgimento apre il campo dei sospetti. Oltre alla malaria, incisero forse i contrasti con Garibaldi. E qualcuno ipotizza anche l'avvelenamento per mano della sua amante Bianca Ronzani...

L'antidoto 01_04_2011
Cavour

Nacque a Torino il 10 agosto 1810 in casa del marchese Michele. Sua madre era Adele de Sellon e suo fratello maggiore Gustavo. Due anni prima era arrivata a Torino la coppia formata da Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone, e dal marito, principe Camillo Borghese. Michele si affrettò a entrare nella nuova corte e ottenne la carica di primo ciambellano. Riconoscente, chiamò il suo secondo figlio Camillo Paolo. Il collaborazionista Michele venne allontanato poi dal re Carlo Emanuele IV alla Restaurazione ma rientrò, dopo qualche tempo, grazie all’intercessione del principe Carlo Alberto. Anche qui, riconoscenza: Camillo divenne paggio del principe. Il quale, in breve, lo cacciò per indisciplina.

Pare che la botta che doveva portarlo a trapassare gli sia venuta da Garibaldi, il quale, neo-eletto al parlamento del Regno d’Italia, il 18 aprile 1861 lo attaccò con la bava alla bocca perché, secondo lui, gli ufficiali garibaldini non avevano ricevuto il giusto trattamento (della truppa non fece menzione, forse perché, com’è noto, non la stimava particolarmente). «Se l’emozione potesse uccidere un uomo, sarei morto tornando da quella seduta», scrisse Cavour l’indomani. Ma forse la rabbia repressa lo uccise ugualmente, magari spianando il terreno alla malaria (contratta nelle sue risaie il mese successivo). Infatti, dopo qualche giorno cominciò a stare male. Lo trattarono a salassi e chinino ma peggiorò. Fecero venire il medico personale del re, Riberi, inutilmente (lo stesso Riberi morì pochi mesi dopo). Cavour mandò a chiamare un frate, p. Giacomo da Poirino, che gli amministrò i sacramenti (quantunque il conte fosse stato colpito dalla scomunica detta “maggiore”). Il 6 giugno 1861 spirò, dopo, si dice, aver gridato al frate: «Padre, libera Chiesa in libero Stato!».

Qualcuno, insospettito da una morte così inaspettata e repentina, subodorò un avvelenamento e il dito si puntò su Bianca Ronzani, amante del defunto, la quale avrebbe agito su incarico di Napoleone III. Ipotesi improbabile, certo, ma per sicurezza la Ronzani lasciò Torino per (guarda un po’) Parigi. (cfr. Pierluigi Baima Bollone, Esoterismo e personaggi dell’Unità d’Italia, ed. Priuli & Verlucca).