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I mille giorni di Renzi, un programma elettorale

Il discorso di Matteo Renzi al Parlamento, somiglia molto a un programma elettorale. Infatti la maggioranza scricchiola sulle riforma del lavoro, della giustizia, della scuola, sulla Rai e sul sistema elettorale. Tira aria di elezioni anticipate.

Editoriali 17_09_2014
Governo

Il discorso pronunciato ieri dal Presidente del Consiglio in Parlamento, prima alla Camera e poi al Senato, suona come un ultimatum alle forze politiche. "Dopo di me il diluvio", ha detto più o meno il premier, parlando di "ultima chance per l'Italia dopo aver perso tanto tempo".

Renzi ha rilanciato il tema delle riforme, soprattutto quella del lavoro e ha esortato tutti i parlamentari a credere di più nella ripresa del Paese, indicando ancora una volta l'orizzonte del febbraio 2018. Gli ormai famosi "mille giorni" dovrebbero servire, stando alle dichiarazioni del premier, per far ripartire la locomotiva del Paese, non per fare melina e tirare a campare. Lui ieri in Parlamento ha parlato correttamente di indispensabilità delle riforme, a patto che siano condivise. E quindi si è chiesto se questo Parlamento abbia la forza e la coesione politica per farle. Forse lui ha già la risposta, ed è negativa, ma intende scaricare sui suoi oppositori l'accusa di voler rovesciare il tavolo. È ormai chiaro che parte del Pd e parte del centrodestra non vedono positivamente il Patto del Nazareno e non perdono occasione per mostrare segnali di insofferenza (vedi le ripetute fumate nere e i rallentamenti nelle votazioni parlamentari per i membri della Corte Costituzionale e del Csm). In tre anni le riforme potrebbero farsi tutte, ma in un clima più costruttivo di quello attuale. Anzitutto il Jobs Act, con la modifica o il superamento dell'articolo 18, punto assai controverso su cui la sinistra si è già spaccata. Fassina (Pd) ha accusato il premier di "usare il linguaggio della destra" in materia di riforma del lavoro, ma la verità è che la partita in Europa il premier se la gioca proprio sulla flessibilità in entrata e in uscita nel mercato del lavoro e quindi non può cedere ai ricatti dei sindacati e del vecchio mondo veterocomunista, attaccato saldamente a una visione del rapporto datori di lavoro-lavoratori assolutamente anacronistica e inconciliabile con ogni logica di risanamento socio-economico.

C'è poi il tema della riforma elettorale. Renzi ha auspicato un'accelerazione anche su questo. Probabilmente si rende conto che la legislatura si impantanerà presto e che sarà indispensabile andare a votare nella primavera 2015 e vuole approvare un sistema di voto che non lo costringa alle larghe intese. Se, infatti, si votasse con l'attuale sistema elettorale, senza premio di maggioranza, nessuna forza politica prenderebbe la maggioranza di voti e seggi e sarebbe inevitabile un governo di solidarietà nazionale, o di emergenza democratica, con destra e sinistra a braccetto. Il Presidente del Consiglio si è detto disposto anche a perdere consensi con scelte impopolari, purché il Paese riparta e conduca in porto quelle riforme che sono ormai non più rinviabili.

Ha citato quella della scuola, quella della giustizia, una legge sui diritti civili, la riforma della Rai. Si è confermato un neo-garantista,visto che ha difeso ancora una volta l'operato dei nuovi vertici Eni, da lui rinnovati prima dell'estate, e ha sottolineato che gli avvisi di garanzia non devono fermare le imprese e paralizzarne la gestione. L'avesse detto un premier di centrodestra l'avrebbero subito accusato di strizzare l'occhio a malfattori, corruttori ed evasori fiscali. Ora, però, Renzi è definitivamente chiamato a dimostrare che le promesse possono diventare fatti, senza più giochi di prestigio. Si è già visto che il suo impegno a fare "una riforma al mese" è rimasto sulla carta e non ha prodotto frutti tangibili. Il monito dell'Ocse (Italia in recessione nel 2014 e in leggerissima crescita dello 0,1% nel 2015) suona come un serio campanello d'allarme e probabilmente aprirà la strada a manovre correttive e a interventi emergenziali. Per non farli, Renzi potrebbe accelerare la corsa alle urne, visto che dall'altra parte non c'è un leader candidabile e lui vincerebbe a mani basse.

Berlusconi ha tutto l'interesse a tenere in piedi l'accordo con il premier e quindi non ostacolerebbe la fine anticipata della legislatura, pur nella certezza di una sconfitta per il centrodestra. La situazione resta ingarbugliata, ma presto si capirà se il discorso fatto ieri alla Camera da Renzi è davvero il programma dei prossimi mille giorni di governo o semplicemente il programma elettorale del Pd per le prossime (imminenti?) elezioni politiche anticipate.