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MANOVRE DI PALAZZO

I grillini non possono staccare la spina al governo

Nonostante Conte minacci il governo Draghi, le sue truppe difficilmente sarebbero disposte a seguirlo. Più che per ideali, per le pensioni che maturano il 24 settembre. E per il limite del secondo mandato, per cui molti non possono essere rieletti, sempre che non cambino partito. Resta solo la battaglia per il RdC con cui presentarsi agli elettori.

Politica 06_07_2022
Giuseppe Conte

Nel quartier generale grillino il 24 settembre scorreranno fiumi di champagne. Da quel giorno decine di deputati e senatori pentastellati avranno la certezza di percepire la pensione di parlamentari, che matura dopo 4 anni, sei mesi e un giorno di legislatura.

Una vera manna dal cielo per molti di loro, strappati all’anonimato e alla disoccupazione nel marzo 2018, quando si ritrovarono eletti in Parlamento senza aver mai redatto un proprio curriculum vitae. Non c’è nulla di denigratorio né di ironico in questa affermazione. Si tratta solo della fotografia della pattuglia di senatori e deputati 5 Stelle, molti dei quali dichiaravano zero euro di reddito fino ad allora e, una volta entrati a Montecitorio o Palazzo Madama, hanno potuto finalmente accendere un mutuo per acquistare una casa, forti dei 15mila euro netti che percepiscono ogni mese.

Ma questo elemento puramente economico non è fine a se stesso. Serve a spiegare lo psicodramma grillino di queste ultime settimane. Il tira e molla tra Mario Draghi e Giuseppe Conte è figlio delle tensioni pentastellate tra chi è rimasto nel movimento sperando in una ricandidatura e chi se n’è andato con Luigi Di Maio per aggirare il vincolo del doppio mandato, che impedisce ai parlamentari con due legislature di ricandidarsi. Anche quelli che sono al primo mandato e che quindi, in linea teorica, potrebbero ricandidarsi, non sarebbero mai stati ricandidati dall’attuale gruppo dirigente, ecco perché si sono rifugiati sotto l’ombrello protettivo del ministro degli Esteri.

E’ tutta una battaglia di potere e basta, che viene ammantata di nobili ideali, come la contrarietà alle armi all’Ucraina o la ferma opposizione al termovalorizzatore di Roma. L’unica vera battaglia che i Cinque Stelle sono intenzionati a fare è quella per la permanenza del reddito di cittadinanza, che per loro è l’unico serbatoio di voti certo, soprattutto al Sud. Se quel sussidio improduttivo e parassitario dovesse essere smantellato, gli elettori non avrebbero più alcun interesse a votare per i grillini. Quei consensi finirebbero naturalmente nell’area del non voto o potrebbero essere catturati da altre forze di protesta.

Dunque Conte è tra l’incudine e il martello, tra chi nel suo movimento preme per uscire dal governo e chi vuole continuare ad appoggiarlo, tra chi è tentato dalle sirene del ministro degli esteri scissionista e chi batte cassa con lui per ottenere una ricandidatura. Senza contare la spada di Damocle dell’impossibilità del terzo mandato per figure storiche del movimento come Roberto Fico, presidente della Camera o Vito Crimi, che dovrebbero uscire dalla politica. Le due ossessioni in ambito grillino sono il salvataggio del diritto alla pensione, e quindi la contrarietà ad elezioni anticipate almeno fino a ottobre, e la sopravvivenza del reddito di cittadinanza, che potrebbe essere sbandierato in campagna elettorale come successo di Conte e dei suoi.

Conte non farà dunque cadere il governo perché resterebbe con un manipolo di invasati e perderebbe altre truppe che, pur di salvare la cadrega, opterebbero per quello che oggi ritengono un porto sicuro (Di Maio), almeno fino alla fine della legislatura. Sa, però, che se si appiattisce troppo sul fronte governativo lascia campo libero, nell’area della protesta, alla Meloni e ad altre forze di opposizione come quella di Gianluigi Paragone. Deve, quindi, tenere sulla graticola il premier, al fine di tenere coese le sue truppe, almeno fino all’appuntamento con il voto.

Poi si vedrà. Soprattutto perché il campo largo auspicato da Enrico Letta potrebbe rivelarsi un contenitore vuoto. Il ministro dei beni culturali, Dario Franceschini ha provato a dissuadere i grillini dal far cadere il governo, minacciandoli di accantonare definitivamente l’ipotesi di alleanza con loro alle prossime politiche, ma quella di Franceschini è una pistola caricata a salve. Infatti, senza i Cinque Stelle con chi mai potrebbero andare al governo i Dem nella prossima legislatura? Basterebbero i cespugli centristi? E’ il Pd ad avere bisogno di Conte, non il contrario. Ecco perché Conte può continuare a barcamenarsi, nell’attesa che si definisca lo scenario della prossima legge elettorale. D’altronde i sondaggi dicono che la scissione di Di Maio ha fatto perdere solo un 2% ai Cinque Stelle, che conserverebbero circa il 13% di consensi, percentuale decisiva in caso di legge proporzionale.

La domanda da farsi, però, è una sola: ma con questi chiari di luna, dalla guerra al covid passando per il caro bollette e la siccità, agli italiani cosa potrà mai interessare delle tristi manovre grilline per continuare a sbarcare il lunario, peraltro a spese loro?