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IL CASO

I Fratelli Musulmani si vendicano dell'Arabia Saudita

Dopo che Ryadh li ha messi al bando, i Fratelli Musulmani - già perdenti in Egitto, si sentono abbandonati e traditi da un alleato tradizionale e pubblicano sui loro siti gli editti con cui la monarchia saudita promuoveva la loro causa.

Esteri 23_03_2014
Mohammed Morsi e il re saudita

Lo scorso 7 marzo l’annuncio da parte dell’Arabia Saudita dell’inserimento dei Fratelli musulmani nella lista delle organizzazioni terroristiche è giunto come un fulmine a ciel sereno. Si sapeva dell’appoggio saudita all’attuale governo egiziano, che ha inserito il movimento di Hasan al-Banna in seno alle organizzazioni terroristiche, ma si sapeva anche del legame che da sempre lega la Fratellanza al Regno saudita. Si sapeva anche del forte legame economico tra Egitto e Arabia Saudita, un legame che vede circa due milioni di egiziani lavorare nella penisola arabica e di circa mezzo milione di sauditi che alimenta annualmente il turismo della terra dei Faraoni. Si sa anche che oggi nello scacchiere mediorientale quel che conta non è tanto la religione, ma la ragion politica, tanto che l’Arabia Saudita è schierata con il fronte sunnita in Siria, fronte che comprende anche la Fratellanza. Ciononostante l’inserimento dei Fratelli musulmani tra le organizzazioni terroristiche ha stupito in primo luogo il movimento islamista egiziano che ha immediatamente denunciato la “schizofrenia” saudita.

Il sito ufficiale della Fratellanza ha pubblicato comunicati e articoli. Uno dei primi pezzi titola “Gli ulema sauditi: I Fratelli musulmani sono un’associazione della moderazione e dell’equità”. Qui vengono riportate alcune fatwe saudite che nel corso degli anni hanno garantito l’islamicità della Fratellanza. Non si tratta di fatwe emesse da autorità qualunque. L’articolo apre con la fatwa, emessa dalla Commissione permanente per le ricerche scientifiche e la fatwa in Arabia Saudita presieduta dall’ex Gran Mufti Saudita ‘Abd al-‘Aziz bin Baz, che recita: “I gruppi islamici più prossimi alla verità e che più si sforzano ad applicarla sono i sunniti, che sono la gente del hadith, seguiti dagli Ansar al-Sunna e infine dai Fratelli musulmani. In seno a queste organizzazioni vi può essere chi erra e pecca, ma bisogna in ogni caso collaborare con loro e operare affinché il peccato venga sostituito con il consiglio, con la collaborazione in nome della pietà e del timore di Dio” (Fatwa 6250, volume 34, pag. 91). Seguono altre fatwe che invocano all’unione tra i musulmani e alla non divisione in nome dell’islam.

L’astio e la rabbia dei Fratelli musulmani è comprensibile alla luce della storia dei rapporti tra il movimento e il regno dei Sa’ud, storia che dimostra al contempo che si è sempre trattato un legame tormentato e segnato da questioni politiche piuttosto che religiose. Nel 1936, in occasione del pellegrinaggio annuale alla Mecca, si svolse il celebre incontro tra Hasan al-Banna e il re ‘Abd al-‘Aziz durante il quale il fondatore del movimento chiese di potere aprire una sede della Fratellanza in Arabia Saudita. La risposta negativa del re venne giustificata con la celebre frase: “Siamo tutti fratelli”. Sottintesa era la comune appartenenza alla umma, ma al contempo una comunione di intenti. D’altronde al-Banna nelle sue memorie sottolineava la sua vicinanza alle idee salafite e ai padri del salafismo, primo fra tutti Rashid Rida.

La prima diatriba politica tra i due aspiranti detentori del vero islam risale al 1948, al periodo successivo alla rivoluzione nello Yemen, appoggiata dalla Fratellanza e contrastata dai sauditi. Non a caso in quell’anno  in occasione del pellegrinaggio, ‘Abd al-‘Aziz aveva vietato l’ingresso di Hasan al-Banna a patto che si impegnasse a non pronunciare sermoni e a non parlare di politica.

Ma quando nel 1949 Hasan al-Banna venne assassinato e venne sostituito alla guida del movimento da Hasan al-Hudhaibi i rapporti iniziarono a ricucirsi. A seguito della rivoluzione del 1952 e l’ascesa al potere di Gamal Abd al-Nasser, l’Arabia saudita funse da paciere tra il movimento e il presidente. Quando Nasser avviò la repressione della Fratellanza, molti personaggi di spicco si trasferirono nel Regno e in altri paesi del Golfo. Da questo momento i Fratelli musulmani diventano parte integrante della rete di propaganda islamica, dell’istruzione religiosa del regno e costruiscono una rete sotterranea di legami e di influenza sulla popolazione. D’altronde nulla di più semplice per un movimento che da sempre predicava le stesse idee del wahhabismo, con un’apparente moderazione nella loro applicazione.

Ma con la Seconda guerra del Golfo e l’invasione irachena del Kuwait le strade della Fratellanza e dell’Arabia Saudita si separano nuovamente. Alcuni personaggi di spicco del movimento egiziano si schierano al fianco di Saddam Hussein, mentre la Fratellanza kuwaitiana e libanese così come i sauditi sono con il paese degli Al Sabah. La disputa si risolve ben presto e ufficiali sauditi incontreranno membri di Hamas, ovvero la Fratellanza palestinese, e inviteranno i leader del movimento a svolgere i loro incontri annuali alla Mecca, confermandone ancora una volta l’islamicità e la complicità in nome dell’islam.

Con l’avvio della cosiddetta primavera araba si apre una nuova fase dei rapporti tra Arabia Saudita e Fratellanza che vede come protagonista il Qatar, l’annoso rivale dei Sa’ud e il sostenitore e finanziatore dei Fratelli musulmani. L’elezione dell’islamista Mohammed Morsi porta a un riavvicinamento tra la Fratellanza e il Regno in nome della partnership, economica, tra Egitto e Arabia Saudita. Nel luglio 2012 Morsi si reca in visita ufficiale in Arabia Saudita e i due paesi annunciano, con implicito riferimento alla questione siriana, cooperazione e sostegno reciproco in difesa del sunnismo. Con l’inizio della crisi interna in Egitto, a partire dalla fine del 2012, l’Arabia Saudita avvia una campagna volta a colpire la Fratellanza. Il motivo è evidente: in Arabia Saudita l’alternativa ai Sa’ud è rappresentata dalla Fratellanza, ma soprattutto i rapporti economici con l’Egitto vengono prima dell’unione del sunnismo.

Credo che sia giunto il momento di calare la maschera sia per l’Arabia Saudita che per i Fratelli musulmani. Credo sia giunto il momento che entrambi inizino a parlare in termini politici e di potere e ad abbandonare le motivazioni religiose, che entrambi condannino il terrorismo senza se e senza ma, le dittature senza se e senza ma. Purtroppo l’Arabia Saudita è uno degli esempi più lampanti di totalitarismo islamico e i Fratelli musulmani sono un movimento che vuole raggiungere lo stesso obiettivo a livello universale. Sono convinta che ora spetti ai musulmani dimostrare la falsità delle ideologie islamiche che usano la religione in nome del potere e per scopi politici ed economici, che spetti alla comunità internazionale smascherare una volta per tutte l’ipocrisia e la schizofrenia di Arabia Saudita e dei Fratelli musulmani, dimenticando gli interessi economici. Un miliardo e seicento milioni di musulmani rischiano di essere fagocitati, e in parte lo sono già, dalle disumane ideologie del wahhabismo e della Fratellanza che predicano l’odio nei confronti di chiunque – musulmano, cristiano o ebreo – che non la pensi come loro.