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LIBIA

Guerra al Califfo? I generali si danno il segno della pace

L’Italia va alla guerra in Libia? Ma no, troppo pericoloso e poi non serve. Le migliori armi sono quelle della diplomazia. Parola di generali, i nostri, che di guerra all’Isis proprio non vogliono sentire parlare. Altro che Papi e cattolici pacifisti: qui a sventolare la bandiera della pace sono ammiragli con le stellette.

Politica 20_02_2015
Il capo di stato maggiore della Difesa Luigi Binelli Mantelli

A dar retta ai principali editorialisti, opinion maker e strateghi delle altrui battaglie, la colpa della timidezza tricolore a fare la guerra ai tagliagole del Califfato è del Vaticano e dei cattolici.  Anzi, dei catto-comunisti o nella loro versione socialdemocratica. Papi, vescovi e associazioni della galassia pacifista di stampo cattolico oppongono sempre resistenza alle chiamate alle armi, a quell’ “armiamoci e partite” che i soloni dell’articolo di fondo spargono con incontenibile generosità mediatica. Laici ultras e interventisti tutti d’un pezzo peraltro sempre all’erta quando c’è da rinfacciare alla Chiesa l’oscuro passato da Santa Inquisizione o la vergogna delle guerre di religione. Mai al tempo questi cristiani: oggi pacifisti, quando invece c’è da menare le mani, crociati ieri quando bisognava cedere le sante terre alle scimitarre del feroce Saladino. 

Due giorni fa, una delle premiere griffe del Corriere della Sera, il professor Ernesto Galli della Loggia, fondeggiava per dimostrare che se oggi tremiamo impotenti davanti al Califfati, la colpa è di quel Papa, Benedetto XV, che con quella uscita sulla “inutile strage” disarmò per sempre popoli e nazioni d’Europa. Vale la pena di rileggere l’omelia del gran maestro Della Loggia. «Da settant’anni questa elementare verità all’Europa di Bruxelles ripugna. Non a caso tutto il suo establishment politico-culturale ha appena potuto permettersi di ricordare il centesimo anniversario della Grande guerra solo a patto di farne propria l’antica qualifica papale d “inutile strage”». Così, dal 1945 in poi la cultura delle élites politiche sono state «orientate massicciamente in senso cristiano- socialdemocratico a fuggire le guerre e a evitare le stragi. Ok, per il professore è già tutto chiaro: in Libia non ci andremo e se mai ci andremo sarà solo a giochi finiti, per regalare caramelle ai bambini e portare la carezza del Papa.

Giusto? Mica tanto: il giorno dopo, sempre sul Corrierone, ecco una lunga intervista all’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, capo di stato maggiore della Difesa. Pezzo davvero grosso del circolo delle stellette, il primo militare d’Italia, capo supremo delle forze di terra, d’aria e di mare. Da uno così, che dovrebbe piacere a tutti i Galli della Loggia d’Italia, c’è da aspettarsi fuoco e fiamme, che ci spieghi dove colpiranno i nostri Tornado e su quali spiagge libiche potrebbero sbarcare i nostri marines. Invece, a domanda, il generalissimo risponde così: intervenire in Libia? «E perché mai? Le armi migliori si chiamano diplomazia e Consiglio di sicurezza dell’Onu». Beh, per uno come lui, dire che le armi migliori sono quelli della diplomazia è un po’ come confessare che ha sbagliato tutto, che ha preso un grosso granchio quando giovincello s’è iscritto all’Accademia Militare. Che tutti i nostri carri armati, caccia, cannoni e armamenti messi insieme non valgono neppure una valigetta diplomatica. Renzi è avvisato: non si faccia venire in mente strane idee, niente elmetti e fuciletti. Solo diplomazia. Forse a Binelli Mantelli sfugge l’elementare evidenza che in un paese democratico, i vertici militari normalmente obbediscono al potere esecutivo e al Parlamento: se no, si strappi le stellette, si candidi e si faccia eleggere dal popolo come fanno di solito i politici. Poi, alla Commissione Difesa potrà spiegare che è meglio la diplomazia della guerra, idea peraltro non del tutto originale.

Ma per Galli della Loggia i mali, anzi, i generali non vengono mai soli. A smentire le sue teorie sul Papa-no war, ecco un’altra gloria delle nostre Forze Armate: il generale Mario Arpino, ex capo di stato maggiore della Difesa, intervistato da Maurizio Belpietro, direttore di Libero. Arpino da ex è più spiccio rispetto al collega in carica: in Libia si va per annientare l’Isis: per questo, dice il generale, «al momento è meglio lasciar perdere» affidando la soluzione militare alle forze arabe, perché «l’Occidente è poco accettato». La guerra è una cosa seria e se bisogna farla il numero dei soldati per la missione libica è molto più alto di quello ventilato. Per presidiare quelle aree non bastano meno di 100 mila uomini e non ci si può limitare ai raid e ai bombardamenti dal cielo: «si tratta di dare la caccia ai gruppi armati sul territorio e dunque non si può non intervenire a terra». Insomma, meglio che nessun scarpone italiano calchi il bel suol d’amore: troppo rischioso, lasciamo siano gli arabi a vedersela tra loro.

Anche il generale Carlo Jean, analista e stratega, è più o meno dello stesso parere: l'Isis in Libia, dichiara al Sussidiario, è una grande montatura mediatica, dato che può contare su non più di 500 combattenti, così che «il Califfato sarà fatto a pezzi dagli stessi libici». Il Califfato non è ben visto dagli altri gruppi armati e lì la concorrenza è spietata. Beh, sulle forze in campo conti non tornano, ma tutti e due i militari su una cosa sono d'accordo: lo sbarco, per il momento, può attendere.

Generali riconvertiti alla politica e alla trattativa diplomatica. Al loro confronto, le parole dei Pontefici sulla guerra umanitaria e gli appelli dei vescovi iracheni sulla necessità di intervenire anche militarmente contro i fondamentalisti islamici, paiono usciti da un brainstorming al Pentagono. Vero è che a Binelli Mantelli mancano solo dieci giorni alla pensione e che l’ammiraglio non vede l’ora di tornare «ai miei gatti, alla mia barca a vela, alla mia famiglia», eppure qualcosa di più forte ci si sarebbe aspettato da uno che ha passato 43 anni in divisa e sempre sull’attenti. La guerra? Più che in trincea è stata combattuta tra le scartoffie nel tentativo di sfondare la prima linea del minimo sindacale stabilito. Così oggi si può ben passare le consegne, soddisfatti per «l’obiettivo raggiunto dello sblocco degli stipendi dei militari, dopo anni vissuti senza progressioni economiche della carriera». Vabbè, non tutti i sogni finiscono in gloria, ma tanti trovano conforto in busta paga. É una delle poche certezze che ci consegna il generale-travet, insieme alla promessa che «non mi vedrete mai dottoreggiare in Tv, come fanno adesso tanti ex...». Il professor Galli della Loggia è avvertito: non lo disturbi a parlare di guerra.