Gli eremiti, «custodi e testimoni» del desiderio di Dio
Leone XIV elogia la vita eremitica, che «non è fuga dal mondo, ma rigenerazione del cuore». E ce n'è «più che mai bisogno, in un mondo sempre più alienato nell’esteriorità mediatica e tecnologica».

Gli eremiti esistono ancora e non sono retaggio di un passato lontano: al contrario, la loro presenza è ancora più necessaria al "fabbisogno" di ossigeno spirituale nella convulsa e tecnologica società odierna. «In ogni tempo» il Signore «chiama donne e uomini a dedicarsi interamente a Lui, a cercarlo e ascoltarlo, a lodarlo e invocarlo, di giorno e di notte, nel segreto del cuore»: parole di Leone XIV che sabato ha ricevuto, nella Sala del Concistoro, un gruppo di eremiti italiani partecipanti al Giubileo della Vita Consacrata.
«Questa vocazione all’adorazione e alla preghiera interiore, propria di ogni credente, voi eremiti ed eremite siete chiamati a viverla in modo esemplare, per essere nella Chiesa testimonianza della bellezza della vita contemplativa», ha detto il Papa, spiegando che la loro «non è fuga dal mondo, ma rigenerazione del cuore (...). Di questo richiamo all’interiorità e al silenzio, per vivere in contatto con sé stessi, col prossimo, con il creato e con Dio, oggi c’è più che mai bisogno, in un mondo sempre più alienato nell’esteriorità mediatica e tecnologica».
Una distanza dal mondo che, paradossalmente, fa bene al mondo, «perché la solitudine orante genera la comunione e la compassione per tutto il genere umano e per ogni creatura» e accresce « il “respiro spirituale” della comunità cristiana». Restando «fedeli all’eredità ricevuta dai Padri della Chiesa» e chiamati al contempo «a interpretare le nuove sfide spirituali con la creatività dello Spirito Santo», gli eremiti possono «stimolare il prossimo a rientrare in sé stesso, a ritrovare il baricentro del cuore», dove «ciascuno potrà scoprire il fuoco del desiderio di Dio che arde e mai si spegne». Desiderio di cui gli eremiti sono «custodi e testimoni, affinché ciascuno possa scoprirlo e alimentarlo in sé»