Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Olimpia a cura di Ermes Dovico
L'INTERVISTA/ PADRE MARWAN AKOURY

Nostalgia del Papa. Il Libano dopo la visita di Leone XIV

Visita di Papa Leone XIV in Libano: la Celebrazione Eucaristica del 2 dicembre è stato l’evento più significativo. Intervista a padre Marwan Akoury, maronita, incaricato dell’organizzazione logistica della Messa.

Ecclesia 17_12_2025
Santa Messa del 2 dicembre (foto di Elisa Gestri)

A pochi giorni dalla partenza del Papa dal Libano l’eco della Visita Apostolica, definita non a torto “storica”, non accenna a spegnersi.  Mentre squadre di operai smontano le imponenti strutture allestite per l’occasione in giro per il Paese, tra la gente regna un sentimento di gratitudine assieme a malinconia per la breve durata del viaggio papale; eppure il Santo Padre è ancora presente, oltre che sulla cartellonistica, nei discorsi e nei cuori. La Celebrazione Eucaristica del 2 dicembre è stato l’evento più significativo della Visita Apostolica, non solo per l’alto numero di intervenuti, ma anche e soprattutto per la profonda intensità spirituale che ha generato tra i presenti.

La Nuova Bussola Quotidiana ha intervistato Padre Marwan Akoury, giovane sacerdote maronita incaricato dell’organizzazione logistica della Santa Messa, coadiuvato da  oltre tremila volontari provenienti da tutto il Libano. Padre Marwan, laureato in Comunicazione Sociale alla Pontificia Università della Santa Croce di Roma, è parroco di Santa Rita nel quartiere beirutino di Sin El Fil e Responsabile della Comunicazione per l’Arcidiocesi Maronita di Beirut.

Padre Marwan, cosa le rimane della Visita Apostolica di Sua Santità?
Mi rimane nel cuore un’esperienza di grazia profonda. La visita del Papa è stata come una luce che ha attraversato le tenebre del nostro quotidiano segnato da crisi e incertezze. Ho visto negli occhi dei giovani, dei volontari, delle famiglie una speranza rinnovata, una gioia vera. Mi rimane anche la forza del messaggio del Santo Padre: il Libano non è solo una terra ferita, ma una terra di speranza, di dialogo e di testimonianza. Le sue parole hanno toccato le ferite del nostro popolo e ci hanno invitati a non arrenderci. Leone XIV  è  un uomo che, con la sua sola presenza, ha portato speranza, pace e fiducia. In lui si percepisce la luce della fede e la prudenza del vero pastore.

Lei è stato chiamato a un ruolo di grande responsabilità.
È stata una missione intensa e toccante, vissuta con spirito di servizio e profonda gratitudine.

Quando è iniziata la preparazione all’evento, e in che modalità?
La preparazione è iniziata subito dopo l’annuncio ufficiale della visita, meno di due mesi prima dell’arrivo del Santo Padre. È stato un periodo breve ma intenso, vissuto in costante coordinamento con la Presidenza della Repubblica, l’esercito, le Forze dell’ordine e la società incaricata della logistica e dell’allestimento del luogo della celebrazione. Nel frattempo, abbiamo avviato una serie di incontri serrati con i responsabili di tutte le organizzazioni e movimenti cattolici in Libano, da cui sono arrivati oltre 3200 giovani volontari. Sono stati formati comitati specifici per ogni settore legato alla Messa: la registrazione dei presenti, il contatto con le Diocesi in Libano e nella diaspora, l’accoglienza nei parcheggi e l’accompagnamento nei vari settori, la logistica (distribuzione dell’acqua, organizzazione della Santa Comunione…), l’assistenza sul campo, sugli autobus arrivati da tutto il Libano e molto altro. Questi giovani, provenienti da realtà ecclesiali diverse sono arrivati nel cuore della notte, prima dell’alba del 2 dicembre, nonostante una pioggia torrenziale durata più di tre ore. Eppure li ho visti muoversi come un’unica famiglia, operosa e gioiosa, come un alveare pieno di vita, senza lamentarsi, mossi solo dal desiderio di servire la Chiesa e accogliere il Papa. Un’immagine che porterò sempre nel cuore è quella di ragazzi e ragazze, bagnati fradici ma sorridenti, intenti ad asciugare le sedie e a completare i propri compiti in tempo per l’arrivo dei fedeli. In quel momento ho visto una fede viva, incarnata, capace di sfidare la fatica e il maltempo per amore di Cristo e della Sua Chiesa. È stata una grazia immensa poter servire questa missione.

Alcune fonti parlano di 100mila presenti alla Santa Messa, altri di 150mila. Secondo le sue stime quante persone c'erano? A quanto si apprende dalla stampa ha assistito alla celebrazione un 20% di persone di religione musulmana. Le risulta?
Secondo la mia stima personale, la Santa Messa presieduta da Papa Leone XIV ha raccolto non meno di 100mila partecipanti. La celebrazione è stata un vero momento di grazia, un segno visibile dell’unità e della speranza del popolo libanese. Per quanto riguarda la presenza di fedeli musulmani, posso confermare che c’è stata certamente, anche se non dispongo di dati precisi. È un segno bello e forte del rispetto che esiste in Libano verso il Papa e il suo messaggio universale di pace e fratellanza.

Chi ha finanziato l’imponente allestimento della Celebrazione Eucaristica?
Non ho seguito personalmente l’aspetto economico ma da quanto mi risulta l’organizzazione dell’evento è stata sostenuta interamente  da donatori privati. L’impegno dei volontari, invece, è stato completamente autofinanziato: ogni movimento o gruppo si è occupato di coprire le spese di trasporto, pasti e materiali necessari. La Cucina di Maria, associazione fondata dal Padre maronita Hani Taouk che tengo a ringraziare pubblicamente, ha offerto due pasti caldi a tutti i volontari con grande generosità.

Della Santa Messa ci ha colpito soprattutto la liturgia, composta e armoniosa pur nella varietà dei riti. A suo parere c'è qualcosa che la Chiesa occidentale può apprendere dalla ricchezza delle liturgie orientali?
Secondo me ogni rito, orientale o occidentale, è un tesoro per tutta la Chiesa. La ricchezza delle liturgie orientali, e in particolare della liturgia maronita a cui appartengo, risiede nella loro profonda dimensione simbolica, nei canti antichi che elevano l’anima, e nella forte dimensione contemplativa che invita al silenzio e all’adorazione. La  nostra liturgia, con le sue melodie uniche e i riti ricchi di storia, esprime una spiritualità viva e radicata nelle tradizioni antiche. D’altra parte, la liturgia latina possiede una grazia propria: una bellezza sobria, una chiarezza teologica e un ordine che parlano con forza al cuore e alla ragione. Non si tratta tanto di “imparare” l’uno dall’altro, quanto di custodire e valorizzare le proprie radici. La vera sfida oggi è non cedere alla tentazione di svuotare la liturgia del suo mistero per renderla più “funzionale” o “adattabile”. Ogni rito è nato in un contesto spirituale profondo ed è portatore di una fede vissuta e incarnata. Solo rimanendo fedeli alla propria identità liturgica possiamo realmente arricchirci a vicenda e testimoniare, insieme, la bellezza della comunione nella diversità.

Personalmente, che cattolico si sente? Orientale, occidentale, oppure parte dei due mondi, di entrambi i "polmoni" della Chiesa, come li definì Papa Giovanni Paolo II?
In quanto maronita, mi sento pienamente parte dei "due polmoni" della Chiesa. La nostra tradizione custodisce con fierezza le radici orientali, nella liturgia, nella spiritualità, nella lingua siriaca. Ma, al tempo stesso, ha sempre mantenuto una profonda comunione con la Chiesa di Roma. Essere maroniti significa respirare con entrambi i polmoni: vivere la fede con il cuore dell’Oriente e l’universalità cattolica dell’Occidente. Questa doppia appartenenza non è causa di tensione, ma fonte di ricchezza. Mi sento figlio dell’Oriente, con la sua mistica e la sua resilienza, ma anche fratello dell’Occidente, con la sua riflessione teologica e il suo slancio missionario. Credo che oggi più che mai la Chiesa abbia bisogno di questa complementarità per testimoniare, con credibilità, la bellezza dell’unità nella diversità.