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CASO AZZOLINI

Giustizialismo, ora il Pd non fa più il passacarte

Matteo Renzi per spiegare il voto del Senato di alcuni giorni fa, che ha “salvato” dall’arresto il senatore Ncd, Antonio Azzollini. Forze politiche come la Lega e il Movimento Cinque Stelle hanno preso la palla al balzo per ridare fiato alle trombe del giustizialismo, accusando il governo di avere barattato la propria sopravvivenza con l’impunità per l’esponente del partito di Alfano. Fin qui nulla di nuovo, ma la novità è il Pd.

Politica 01_08_2015
Il senatore Antonio Azzolini del Ncd

«Non siamo dei passacarte della procura di Trani». Sono le parole pronunciate da Matteo Renzi per spiegare il voto del Senato di alcuni giorni fa, che ha “salvato” dall’arresto il senatore Ncd, Antonio Azzollini. Forze politiche come la Lega e il Movimento Cinque Stelle hanno preso la palla al balzo per ridare fiato alle trombe del giustizialismo, accusando il governo di avere barattato la propria sopravvivenza con l’impunità per l’esponente del partito di Alfano. Fin qui nulla di nuovo. Da sempre in Parlamento si fronteggiano un esercito giustizialista e uno garantista. Ciò che invece merita un approfondimento è la frattura che si è creata dentro il Pd dopo la votazione su Azzollini. 

L’atteggiamento da tenere nei confronti della Giustizia non è l’unica superficie di attrito tra renziani e minoranza dem, che sono divisi anche su scuola, jobs act, riforma costituzionale, italicum, Rai. In più si sono registrate posizioni divergenti anche da parte dei due vicesegretari. All’indomani della votazione a Palazzo Madama sulla richiesta di misura cautelare nei confronti del senatore Ncd, chiesta dalla procura di Trani per la vicenda della casa di cura Divina Misericordia (189 no, 96 sì, 17 astenuti), Debora Serracchiani, aveva affermato che il pd avrebbe dovuto chiedere scusa, mentre l’altro vicesegretario dem, Lorenzo Guerini, aveva difeso la decisione di votare “no” all’arresto dopo aver letto le carte. Tra i due vicesegretari, che certamente non si amano, diversi esponenti della minoranza, da Gianni Cuperlo a Sandra Zampa, che avevano invocato un chiarimento evocando la “questione morale”. 

Ieri è stato proprio il premier a metterci la faccia, tentando di spegnere le polemiche. Lo ha fatto difendendo la decisione del capogruppo Pd, Luigi Zanda, che aveva deciso di lasciare libertà di coscienza ai senatori: «Zanda», spiega il premier, «ha visto le carte su Azzollini: si è convinto che sia una vicenda molto complicata su cui il “fumus persecutionis” potrebbe esserci e ha lasciato libertà di coscienza. Io non so dire come avrei votato perché non ho letto le carte. Ma considero il voto un segno di maturità, credo alla buona fede e all’intelligenza dei senatori Pd». Tuttavia, tale esito ha sconfessato il pronunciamento della Giunta per le immunità di Palazzo Madama, che aveva votato a favore dell’arresto. Per Ncd un sospiro di sollievo, sottolineato dalle parole di Fabrizio Cicchitto, che polemizza con la Giunta: «Il voto assai ampio dei senatori dovrebbe essere materia di riflessione per il presidente della giunta (Dario Stefàno, n.d.r.) perché il suo ruolo non è quello di mettere il bollo ad ogni richiesta della magistratura inquirente». 

Ma il muro contro muro sul caso Azzollini ha fatto perdere di vista che in votazione non c’erano le sorti giudiziarie del senatore, ma solo l’opportunità di limitare la sua libertà personale concedendo gli arresti domiciliari, chiesti dalla Procura di Trani. L’assemblea di Palazzo Madama, dopo aver approfondito i documenti e aver ascoltato le relazioni, ha ritenuto che non sussistessero le ragioni per quella misura cautelare. Ciò non toglie che quel politico verrà regolarmente processato e dovrà comunque difendersi dalle accuse che gli sono state rivolte. Tale vicenda riporta d’attualità il tema del rapporto tra magistratura e politica, che Renzi ha dimostrato di voler affrontare in modo nuovo, senza pregiudizi né sudditanze culturali. È pronto, cioè, a ribadire l’autonomia della politica in tutti i casi nei quali il Parlamento sia chiamato a valutare l’eventuale ricorso a misure davvero gravemente limitative della dignità di un membro della Camera o del Senato.

Che ci sia stata una trattativa sottobanco proprio su Azzollini e che Palazzo Chigi abbia dovuto fare buon viso a cattivo gioco per non incrinare i rapporti con Ncd, può essere. Resta però il dato positivo di un Pd più aperto e meno dogmatico sulle decisioni delle toghe, oltre che meno prigioniero del giustizialismo. In passato non era stato così e su altri casi paragonabili a quello di Azzollini il partito aveva votato in modo diverso.  La votazione su Azzollini, a prescindere dal merito della vicenda e dal fatto che il senatore venga poi giudicato colpevole dalla giustizia ordinaria, non rappresenta una sconfessione dell’operato della procura di Trani, bensì una provvidenziale riaffermazione del principio dell’autonomia della politica dalla magistratura, ingrediente irrinunciabile di una democrazia matura e rispettosa del principio della separazione dei poteri.