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IL CASO

Giù la mani dall'infanzia. Il baby balilla e i suoi fratelli

Il bimbo entra all’asilo e saluta amici e maestre con il braccio alzato e la mano tesa. Alla fascista come gli hanno insegnato mamma e papà. Succede a Cantù, lo riporta Repubblica che non perde l’occasione per alzare contro quella manina il suo ditino costituzionale e antifascista. Ma lo scandalo non è quel bimbo.

Educazione 13_05_2015
Un piccolo balilla

Giù le mani dai bambini. L'hanno sempre fatto, purtroppo, tutti. L’ultima storia la racconta Repubblica: in un asilo di Cantù, la capitale brianzola del mobile alle porte di Como, un bambino di quattro anni sta seminando il panico tra maestre e genitori. Il piccolo, infatti, ha il “vizietto” di dare il buongiorno ai compagni con il saluto romano: braccio destro proteso in avanti, come Mussolini e Hitler. Lo fa appena incrocia in un nuovo amico, con la maestra al mattino, ma anche con la bidella e i genitori dei compagni. Sconcerto e allarme, alla fine le insegnanti convocano i genitori e dopo qualche imbarazzo e mezze frasi, scoprono che il baby balilla non ha colpe: obbedisce solo agli ordini di mamma e papà. Lo fa in automatico, quel saluto, perché così gli è stato insegnato a casa. «Che cosa c'è di strano? Vogliamo dargli un'educazione rigorosa e allo stesso tempo naturale», ammette la coppia, mentre il padre mostra orgoglioso alla maestra il tatuaggio di una svastica. Insomma, se per il piccino quello è un gioco, in famiglia, invece, non si scherza. Da qui l’ultimatum: se il camerata in erba non la smette con quel braccio alzato, sarà espulso dalla scuola. Achtung, i genitori sono avvertiti: d’ora in poi dicano al piccolo di tenere giù la mano destra.

Messaggio arrivato. Adesso le cose, racconta soddisfatto il reporter di Repubblica, paiono essersi aggiustate; da giorni il braccio destro del piccolo è tornato in posizione di riposo, come Costituzione comanda. «La scuola materna è pubblica», chiosa il giornalista, «e si riconosce, com’è ovvio, nei valori sanciti dalla Costituzione italiana il cui carattere è rigorosamente antifascista». La Resistenza come l’ovvio dei popoli: siamo all’asilo ma Repubblica non si perde l’occasione per impartire lezioni di educazione civica. Il ditino alzato dell’orgoglio repubblicano & republicones a condannare già nelle fasce la voglia di fascio. La scuola pubblica è salva, il paese respira e l’inquietante manina, il bimbo ha promesso, d’ora in poi resterà nascosta nella tasca del grembiulino. All’asilo, maestre, genitori e bidelle son tornati a vivere felici e contenti: taca banda con bella ciao e vai col giro-girotondo. Le gloriose maestre di Cantù manderebbero in estasi il professore Gustavo Zagrebelsky e la tutta la sua sinistra compagnia di giuristi chic che in questi hanno lottato per difendere la Costituzione dagli assalti del fu premier e del suo centrodestra al governo. Eppure, nel libro nero dei bimbi usa e getta, anche il divino Zag ha il suo bel ragazzino sulla coscienza. 

Quel giorno di quattro anni fa a Milano c’erano tutti i bei nomi della lotta partigiana al nuovo fascismo berlusconiano: Roberto Saviano, Umberto Eco, Gad Lerner e Susanna Camusso. Convocati dal prof Gustavo per il convegno di Giustizia e Libertà.  Il sermone introduttivo contro il Cavaliere fu affidato a un tredicenne, figlio bene di un magistrato ancora migliore, opportunamente istruito. Spettacolo da far accapponare la pelle, ma non a lorsignori: più che dalla dura pellaccia, questi qui son sempre protetti da un folto pelo sullo stomaco. Degni eredi  dei “Pionieri comunisti” degli anni Cinquanta, così indottrinati che quando Palmiro Togliatti sentì l'infante Massimo D'Alema rivolgere il saluto al congresso sbottò: «Ma questo non è un bambino: è un nano!». E i manifesti elettorali della Dc nel dopoguerra? Uno mostrava uno scolaretto col grembiulino che arringava i compagni di classe: «E se papà e mamma non andranno a votare noi faremo la pipì a letto!». Spiritoso, almeno.  E poi lo storico corteo del 1˚ maggio 1969 per le strade di Milano, con decine di bimbi con il fazzoletto rosso e ll “Libretto” dei pensieri di Mao sotto le bandiere dell'Unione dei comunisti marxisti leninisti. Ancora: il “Baby club azzurro” fondato nel '94 dove campeggiava lo striscione con la scritta "Silvio facci sempre vedere i cartoni". O gli “Orsetti padani” inventati dalla Lega bossiana e mandati a sfilare a Pontida sotto le bandiere del Sole delle Alpi. 

Che dire? La lista è ancora lunga, ma basta così. Meglio ricordare a costoro, e pure a noi, che i figli non sono proprietà dei genitori e che questi non ne sono i padroni, semmai solo “custodi” a tempo determinato. Fino a quando, cioè, impareranno a vagliare con la ragione e a farsi un’idea sulla realtà. L’’uso politico dei bimbi, poi è cosa spaventosa che nessuna presunta libertà di educazione degli adulti potrà mai autorizzare. Bracci tesi e pugni chiusi oggi non vanno più tanto di moda: a minacciare l’infanzia è piuttosto l’arruolamento forzato, bambini compresi, nella nuove milizie della dittatura gender. Nemici vecchi e nuovi che solo gli adulti possono affrontare. Educare è il loro mestiere e dovere. E magari il bene si affermasse per decreto paterno o per legge dello Stato: tutto sarebbe certo più facile. Ma niente può sostituire o predeterminare il cammino di una libertà, sempre sorprendente e a rischio. La vera e amorosa educazione dev’essere disposta ad affrontare anche questo imprevisto.