Gesù è l’unico salvatore, così nasce la missione della Chiesa
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La continua condanna del proselitismo genericamente inteso ha svuotato di senso l’evangelizzazione e promosso il relativismo religioso. C’è bisogno di recuperare il comando di Gesù di annunciare il Vangelo ad ogni creatura.
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Vittima di questa “svolta pastorale” è stata nientemeno che la missione della Chiesa nell’annuncio irrinunciabile di Gesù Cristo come unico salvatore degli uomini e dell’instaurazione del suo regno di grazia, secondo l’esplicito comando del Signore: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20). Il comando – non consiglio, non opzione – è letteralmente quello di «rendere discepoli» tutti i popoli, battezzando nel nome della Trinità beatissima e instaurando una vita conforme all’insegnamento del Signore.
Questo pontificato ha impresso un’accelerazione al processo di esaurimento della propulsione missionaria della Chiesa, in particolare ponendo un’enfasi eccessiva sulla condanna del cosiddetto “proselitismo”. Il problema nell’insistenza di questa censura sta proprio nel fatto che il senso del proselitismo condannato non è affatto specificato; in tal modo dentro questo contenitore può finire qualunque azione della Chiesa che vada oltre una “testimonianza di vita buona”.
A ben vedere, però, il proselito è etimologicamente colui che “viene verso”, ossia un “nuovo venuto”. Ed in questa accezione, fare proseliti significa proprio quel «rendere discepoli» comandato da Cristo. Il proselitismo così inteso è pienamente all’interno del senso della missione della Chiesa, la cui gioia più grande che sta proprio nell’accrescere il numero dei propri figli. Vi è poi certamente un significato deteriore del termine: una sorta di indottrinamento ideologico, strategie poco limpide, tese ad irretire qualcuno, azioni sommarie per cercare semplicemente di aumentare il numero di iscritti alla Chiesa intesa come associazione religiosa o setta, o ancora atti caratterizzati da violenza psicologica, verbale o perfino fisica. E non v’è dubbio che quest’ultimo significato costituisca una distorsione della missione della Chiesa.
Ora, però, la ripetuta disapprovazione di un proselitismo generico ha di fatto condotto a biasimare anche quanto appartiene propriamente alla missione della Chiesa, la quale, sebbene abbia la sua forza nella testimonianza, tuttavia non si limita ad essa, come spiegava Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 22: «anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata – ciò che Pietro chiamava “dare le ragioni della propria speranza”, – esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La Buona Novella, proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita. Non c'è vera evangelizzazione se il nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati».
La testimonianza della vita non solo non esclude, ma esige la testimonianza della parola di verità: la Chiesa è chiamata ad annunciare Gesù Cristo, Figlio di Dio, unico salvatore, che ella cerca di testimoniare nella sua vita, evitando la controproducente contraddizione tra parola e vita. È chiaro che la virtù della prudenza e l’ispirazione dello Spirito Santo indicheranno in ogni circostanza come questa possa avvenire; talvolta, potranno esservi situazioni circoscritte nel tempo e nello spazio in cui sarebbe imprudente andare oltre la testimonianza della vita, ma questo non può comportare che la Chiesa in quanto tale debba cessare dall’annuncio della verità che salva, così come la condanna del male e dell’errore.
Il secondo grave problema sta nel fatto che esplicitamente sono state fatte affermazioni che appaiono contraddire i dogmi di Gesù Cristo, unico salvatore degli uomini, e della Chiesa cattolica, unica chiesa voluta dal Signore Gesù, fuori della quale non c’è salvezza. La dichiarazione Dominus Iesus aveva saggiamente provveduto a chiarire questi due punti fermi della Rivelazione, per evitare di intenderli in modo rigidamente esclusivista quanto ai membri di altre chiese e comunità cristiane, così come a quanti appartengono ad altre religioni non cristiane. Ma la stessa dichiarazione aveva tuttavia messo in guardia da alcune presunte “aperture inclusiviste” che pregiudicano il nucleo della fede.
Un’affermazione come quella sottoscritta da papa Francesco ad Abu Dhabi, il 4 febbraio 2019, per cui «il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani», nella sua ambiguità (volontà divina positiva o di permissione?), mortifica l’azione evangelizzatrice della Chiesa, la quale riconosce che Dio non vuole positivamente che una sola religione, perché non v’è che uno solo, il Verbo incarnato, nel quale si può essere salvati: «In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4, 12).
Ancora più problematica è l’altra dichiarazione fatta da Francesco a Singapore, nel settembre 2024: «Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì». Questa esternazione non ha nulla a che vedere con un sano dialogo interreligioso, ma costituisce la fine del senso del cristianesimo e della Chiesa cattolica, che non si collocano tra le tante strade umane per tendere a Dio, ma hanno a che fare con l’unica strada aperta da Dio stesso nel suo Figlio unigenito, «la via, la verità, la vita» (Gv 14, 6). Nessuno va al Padre se non per mezzo di lui (cf. ibi); nessuno conosce il Padre se non lui e colui al quale egli lo rivela (cf. Mt 11, 27); nessuno che non rinasca «da acqua e da spirito» (Gv 3, 5) potrà entrare nel Regno dei Cieli.
La presenza di elementi di bene e di verità nelle culture e nelle religioni non permettono un tale livellamento da portare a considerare qualunque religione come strada che porta a Dio. Lumen gentium non insegna affatto che tutte le religioni portano a Dio, ma che «tutto ciò che di buono e di vero» si può trovare nei non cristiani «è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo», senza nascondersi la realtà che «molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno errato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna». Ragione per cui «la Chiesa per promuovere la gloria di Dio e la salute di tutti costoro, memore del comando del Signore che dice: “Predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15), mette ogni cura nell'incoraggiare e sostenere le missioni» (LG, 16).
La missione è questo slancio della Chiesa, spinta dalla carità di Cristo, che vuole che «tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità», quella verità salvifica che l’Apostolo così riassume: «uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (1Tm 2, 4-5). Questo annuncio è tutt’altro che un semplice accostarsi ad altri cammini, ritenendoli valide alternative per la salvezza e lasciando che ogni uomo li percorra in pace. Questa concezione falsa ed irenista non ha nulla a che fare con l’incredibile slancio missionario che la Chiesa ha avuto per secoli e che ha portato innumerevoli missionari a dare la vita perché altri fratelli potessero incontrare la luce del Vangelo e divenire eredi del Regno. I nostri pastori sembrano aver perso questa dimensione, essenziale non solo alla sua identità, ma anche al senso dell’incarnazione redentiva del Verbo, venuto a «rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Lc 1, 79).
5. Continua
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