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EDITORIALE

Gender, se si muovono i vescovi del Triveneto

E' la prima conferenza episcopale regionale a prendere posizione sul tema. Un documento ancora timido, ma è comunque un messaggio di conforto e speranza per quanti stanno combattendo una battaglia sentendosi spesso abbandonati dai pastori.

Editoriali 31_01_2014
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Arrivare primi non sempre è un merito. Ma nel caso del Messaggio dei vescovi del Triveneto per la 36ma Giornata della Vita – “Il compito educativo è una missione chiave!” -, arrivare primi è stato un vero merito. Primi in cosa? Primi a intervenire su un insieme di fenomeni molto allarmanti che stanno invadendo l’educazione dei nostri bambini e giovani nella scuola e che di solito viene riassunto nell’espressione “ideologia del gender”.

Da molto tempo, ogni giorno, La Nuova Bussola Quotidiana ne parla con allarme. Finora erano intervenuti solo (pochi) singoli Vescovi. Ora interviene una Conferenza episcopale regionale. Siccome se ne sentiva il bisogno: onore al merito a chi è arrivato per primo!

I vescovi hanno adoperato espressioni non troppo dure. Per arrivare al “dunque” bisogna leggere un bel po’ di premesse. Hanno usato molta buona educazione, cominciando non col condannare ma col fare l’esame di coscienza sui doveri delle comunità cristiane. Anche il linguaggio dei vescovi ha un debito da pagare con il codice delle belle maniere pastorali. Ciò non toglie che averne parlato, in questo clima culturale opprimente, sia un segno di grande libertà e che la realtà su cui si pronunciano faccia veramente impressione.  

Libri di testo, formazione degli insegnanti, programmi scolastici, interventi di educazione sessuale nelle scuole, sinergie tra Comuni e associazioni di omosessuali … tutto converge in un “pensiero unico”, come dicono i vescovi, che cerca di imporsi con una spietata violenza educativa e con la copertura della legge. Nelle scuole sarà vietato parlare di famiglia naturale, di padre e madre, per non peccare di intolleranza verso chi convive, chi è madre ma si sente padre, chi sceglie di essere ora maschio e ora femmina, chi ha due padri o due madri. E tutto deve essere uguale, tutto tollerato, tranne chi dice che così non è, che la natura esiste e che le grandi autostrade per essere persona umana sono rappresentate dall’essere uomo e dall’essere donna. Costoro non avranno più vita facile nella scuola italiana e in questo messaggio dei vescovi del Triveneto troveranno conforto.

I vescovi inseriscono questo allarme nel contesto più ampio degli attentati alla dignità della persona umana: le famiglie in difficoltà per la crisi economica, i disoccupati, i profughi, gli stranieri… . Però - e questo va notato - il tema dell’identità umana come maschio e come femmina non è paragonabile ad altre situazioni di difficoltà, anche gravi, come l’essere profugo o l’essere disoccupato. Non è una delle tante. Le società umane hanno conosciuto anche in passato le difficoltà economiche o le migrazioni, ma non avevano mai conosciuto il negazionismo della natura umana.

Mai era avvenuto che si negasse che la famiglia fosse fondata su un uomo e una donna, che l’identità sessuale fosse complementare maschio-femmina e che la loro unione fosse aperta alla vita. Mai si era deciso di imporre la negazione dell’innegabile, l’oscuramento per legge delle evidenze. Mai, come oggi in periodi di pensiero debole, i legislatori, i giudici e gli insegnanti hanno avuto la pretesa metafisica di riformulare la natura umana. Mai si erano precettati i docenti e scritti i libri di testo per cambiare nella testa dei giovani il concetto di identità sessuale, sessualità, procreazione, famiglia, con una pianificazione così meticolosa e coordinata. Oggi l’educazione nelle scuole mira a convincere dell’esistenza del diritto a non essere quello che si è e a percepire l’ordine della natura come un’oppressione. Stiamo educando i giovani al congedo dalla natura, a non sapere più se su di essi ci sia un progetto o se essi stessi, aperti al nulla, debbano ricreare la realtà, a  cominciare dalla propria.

Sono tre i paragrafi più impegnativi del messaggio, quelli in cui si adoperano parole chiare e dense di conseguenze. Qui i vescovi invitano a “non avere paura e a non nutrire ingiustificati pudori e ritrosie”  nel parlare in pubblico di padre e madre, marito e moglie. Sono coscienti che la battaglia delle parole è ormai molto pregiudicata e che l’intolleranza sta mietendo vittime. Ribadiscono, davanti a questo nuovo quadro, il “carattere decisivo” della libertà di educazione dei figli da parte delle famiglie e denunciano “ogni tentativo ideologico che porterebbe ad omologare tutto e tutti in una sorte di deviante e mortificante pensiero unico, sempre più spesso veicolato da iniziative delle pubbliche istituzioni”. Affermano di sostenere lo sforzo di quanti affrontano ogni giorno “le più importanti questioni antropologiche ed educative del nostro tempo”. 

I tre passaggi sono molto importanti. Invitando alla lotta per la libertà di espressione, i vescovi esprimono la consapevolezza che c’è una guerra in corso, una guerra babelica di confusione delle lingue, che va combattuta fino in fondo. Lasciano anche intendere che non sarà indolore. La questione della libertà di educazione esce dal contesto angusto del finanziamento alle scuole private e viene posta al centro della resistenza per la difesa della natura umana. E’ l’ultima ridotta, senza difendere la quale continuare a parlare di “dignità della persona umana” diventa retorico. Il sostegno promesso a chi si impegna su questo fronte conforterà tante persone che spesso si sono sentite abbandonate.

Infine, la denuncia del ruolo assunto dalle “pubbliche istituzioni” in questa grave faccenda pone l’enorme problema dell’obiezione di coscienza verso le istituzioni stesse, col pericolo di lacerazioni nel tessuto sociale e politico non facilmente componibili.