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la guerra

Gaza e l'emergenza sanitaria, dove finisce la Medicina

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La denuncia di un medico israeliano: palestinesi bisognosi di assistenza medica maltrattati. E il dibattito infiamma Israele. Ma la soluzione non è quella dei sanitari Pro Gaza che fanno i boicottaggi. 

Esteri 01_10_2025

Ciò che sta accadendo a Gaza, prima di essere una questione che anima il dibattito politico, deve essere riconosciuta come una tragedia sanitaria. Non solo per il numero altissimo di vittime, di feriti, di mutilati, tra cui numerosi bambini, ma perché sembra drammaticamente rappresentare ancora una volta un cambio di paradigma della Medicina, attuato - come avvenne con la pandemia - utilizzando il pretesto dell’emergenza.

I palestinesi ricoverati negli ospedali israeliani subiscono infatti un trattamento disumano. Lo ha denunciato un medico ebreo israeliano, Daniel Solomon. In un documentato articolo pubblicato sul quotidiano israeliano Haaretz, Solomon, che è membro del consiglio di amministrazione di Physicians for Human Rights-Israel, rivela che è stato testimone diretto di maltrattamenti nei confronti di pazienti palestinesi ricoverati in ospedale. Inizialmente tali trattamenti riguardavano solo pazienti che si trovavano in stato di arresto e di detenzione, e comprendevano pratiche di contenzione forzate ai quattro arti, anche per pazienti in condizioni critiche, e anche in ricoverati che si stavano riprendendo da interventi chirurgici. Questa pratica si è poi diffusa in tutto il sistema sanitario pubblico israeliano.

La questione dell’assistenza medica ai palestinesi viene spesso inquadrata dai media israeliani come un dilemma morale. E’ lecito curare dei “nemici”? In realtà, non dovrebbe esserci nessun dubbio e nessun dilemma: l’etica medica fornisce ai medici un quadro chiaro per guidare il loro operato, concentrandosi solo sul paziente e sui suoi bisogni.

Nonostante i principi di neutralità medica, tutti noi siamo inevitabilmente influenzati dalla società in cui viviamo e spesso rispecchiamo la sua mentalità. Alcuni possono sostenere le linee guida del Ministero della Salute che, all’inizio della guerra, ha dato istruzioni agli ospedali di non ricoverare i detenuti gazawi. Altri hanno sostenuto che le condizioni dei detenuti dovrebbero essere migliorate solo dopo il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani.

La disumanizzazione dei pazienti, visti come dei nemici e non come delle persone umane sofferenti  ha portato a credere che l’assistenza medica sia un privilegio, non un diritto umano fondamentale, contraddicendo direttamente il Giuramento di Ippocrate.

E’ triste dirlo, ma quello che accade negli ospedali israeliani è qualcosa che abbiamo già visto, in dimensioni meno drammatiche, durante la cosiddetta emergenza pandemica. I “palestinesi” erano in quel caso le persone non vaccinate, che subivano dal personale sanitario insulti, angherie, minacce, pressioni psicologiche atte a modificarne coercitivamente la loro liberà di scelta.

«Non si può invocare il pluralismo delle idee quando si tratta di salute pubblica»: questo era l’assioma che giustificava e rendeva impunita ogni tipo di vessazione. Lo stesso principio sembra presiedere alle scelte del governo di Israele: quando la sicurezza è eretta a idolo, nel suo nome si può giustificare ogni violazione dei diritti umani.

Ancora una volta è dunque la Medicina intesa come arte del curare, del prendersi cura di ogni persona malata e sofferente, che ne fa le spese e sembra in balia delle scelte politiche. Anche in questo caso, è più che mai da far proprio l’appello del cardinale Pizzaballa alla mitezza, una virtù dimenticata e disprezzata, ma assolutamente indispensabile. Una mitezza che richiede coraggio, che è tutt’altro che debolezza. Se il mite è disposto a porgere la propria guancia, si impegna per proteggere le guance altrui.

Una mitezza che deve difendere le ragioni profonde dell’etica medica, che oggi è interpretata a macchia di leopardo e subendo influenze politiche. Per questo alla causa dell’aiuto alle vittime di questa tragedia non servono i flash mob più o meno spettacolari, o le giornate di “digiuno di solidarietà” lanciate la scorsa estate (e ci permettiamo di ricordare che il digiuno ha senso e valore se consiste in una rinuncia per un bene, ad esempio devolvendo la somma equivalente a un pranzo, altrimenti è solo dieta); il dissenso e l’indignazione non devono essere a senso unico. Non basta protestare contro Israele, ma occorrono scelte etiche ad ampio raggio, contro ogni minaccia alla vita umana in ogni fase della sua vita, e occorre un reale rispetto per i pazienti, qualunque tipo di idea essi professino.

Alcune organizzazioni di “sanitari pro Gaza” hanno invitato a boicottare una casa farmaceutica israeliana. Se si fossero mobilitati in modo analogo durante la pandemia Covid forse avremmo visto scenari diversi. Se tale rete si fosse espressa contro la sospensione dei colleghi medici, infermieri, operatori sanitari di ogni qualifica, avremmo avuto molte ingiuste sofferenze in meno. L’auspicio è che l’impegno umanitario per Gaza  porti a una sensibilizzazione più generale sul preoccupante reset in corso della Medicina.