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INTERVISTA

Gaiani: «Su Wikileaks i conti non tornano»

L'esperto: «Come può un esercito capace di oscurare le infrastrutture elettroniche di interi Paesi, non riuscire a chiudere un sito internet?»

Attualità 14_12_2010
wikileaks

«Ci sono troppi conti che non tornano in questa vicenda di Wikileaks, e qualcuno che ci guadagna». Gianandrea Gaiani, uno dei massimi esperti italiani di difesa e direttore della rivista Analisi Difesa, ha molti dubbi sulla storia che da mesi occupa le prime pagine dei giornali di tutto il mondo e promette di farlo ancora per molti mesi. Rivelazioni su montagne di documenti riservati del Pentagono, la cui pubblicazione viene centellinata in modo da tenere sempre centrata l’attenzione ma il cui contenuto ha valore quasi nullo.

Dottor Gaiani, cos’è che non la convince?
Fondamentalmente la sproporzione tra gli allarmismi lanciati dall’amministrazione Usa e le risorse messe in campo per porre riparo alla situazione.


Si spieghi meglio.
Vede, gli Usa hanno migliaia di militari addestrati per la cyberwar, la guerra cibernetica. Non dimentichi che nel 1999, prima dell’attacco alla Serbia, e nel 2003, prima dell’attacco all’Iraq, queste unità furono in grado di oscurare le infrastrutture elettroniche e anche elettriche di questi Paesi. Le sembra possibile che le stesse unità non siano in grado di bloccare un sito che ha annunciato le rivelazioni diversi mesi prima di pubblicarle? Non solo, Julian Assange non viene perseguito per spionaggio, ma si cerca di incastrarlo con un’accusa per stupro che, per chi ha letto i dettagli della denuncia, appare francamente surreale.

Non è possibile che Assange sia un personaggio molto scaltro?
Ma qui non si tratta di un’azione a sorpresa, è stato tutto annunciato con grande anticipo, c’era tutto il tempo di provvedere se si fosse voluto. E poi, comunque, una volta consumato il misfatto, le sembra realistico che nessun responsabile del Pentagono e il ministro stesso, non abbiano sentito il dovere di dimettersi o che il presidente Obama non li abbia costretti alle dimissioni? Pensi che in Corea del Sud la scorsa settimana si è dimesso il ministro della Difesa per la risposta troppo debole data alla Corea del Nord in occasione dell’attacco militare dello scorso mese. E qui ha è andato in carcere solo un oscuro caporale di 22 anni, accusato di aver scaricato i documenti. Ma qui stiamo parlando di oltre 500mila files, il rovescio più grave della storia per una struttura di difesa. E nessun responsabile viene chiamato in causa. Ce ne è abbastanza per sentire puzza di bruciato.

Ma chi avrebbe organizzato una tale messa in scena?
Non è possibile accusare nessuno, in questo momento, né pensare a qualche complotto. Si può solo guardare ai fatti e rilevare alcune incongruenze, così come chiedersi chi ci guadagna in tutto questo polverone.

E chi ci guadagna?
Mi limito a osservare che quanto finora uscito pare faccia il gioco dell’amministrazione Obama, e all’interno dell’amministrazione del presidente a scapito del segretario di Stato Hillary Clinton che, sullo spionaggio alle Nazioni Unite, ha rischiato grosso.

In cosa ci guadagna l’attuale inquilino della Casa Bianca?
Ad esempio, le rivelazioni sugli abusi in Afghanistan e Iraq rovesciano le responsabilità sull’amministrazione Bush; le rivelazioni sui rapporti tra Berlusconi e Putin, colpiscono la politica energetica dell’Italia, sgradita a Washington; le rivelazioni sugli intrecci dell’Iran con altri Paesi a rischio, che pure non sono niente di nuovo per gli addetti ai lavori, contribuiscono a creare nell’opinione pubblica un clima favorevole alla «punizione» contro il regime di Teheran. E quando a gennaio, come annunciato da Assange, usciranno rivelazioni compromettenti su alcune grandi banche, sicuramente sarà più facile scaricare sui banchieri la responsabilità della crisi economica e finanziaria assolvendo i politici.