Foto delle donne politiche al pubblico ludibrio. La privacy è un colabrodo
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Foto non autorizzate di Giorgia Meloni, Elly Schlein e Alessandra Moretti hanno iniziato a circolare per il web, solo per fare gossip e battute sessiste. Una spia di quanto la tutela della privacy, nel mondo digitale, sia ancora un colabrodo, non solo per i politici, ma anche per le persone comuni.

Lo scandalo legato alla pubblicazione di immagini sessiste sul forum Phica.eu, sottratte senza alcun consenso e che ritraggono figure pubbliche di primo piano come Giorgia Meloni, Elly Schlein e Alessandra Moretti, riporta all’attenzione una questione cruciale e ancora purtroppo sottovalutata, ovvero l'obbligo del consenso come condizione necessaria per la pubblicazione e la diffusione di immagini altrui. Queste foto, usate in modo distorto per alimentare commenti volgari e sessisti, non solo rappresentano un abuso nei confronti delle persone ritratte ma alimentano anche una cultura digitale che riduce le donne a meri oggetti e che ignora ogni principio di dignità e rispetto. Il forum è stato chiuso ieri, ma c’è da scommettere che presto l’emergenza si ripresenterà attraverso altri canali.
L’uso illecito delle immagini, soprattutto quando riguarda donne, si posiziona in una più ampia trama di violenza e di violazioni della privacy. Il consenso, in questi casi, non è solamente una formalità ma rappresenta un confine invalicabile di tipo etico. È proprio su questo punto che nelle ultime settimane sono avvenuti numerosi casi che meritano di essere citati.
Particolarmente rilevante è la recente sentenza della Corte di Cassazione che ha stabilito un importante precedente in materia di protezione dei dati personali. La vicenda riguardava la pubblicazione non autorizzata dell’immagine di profilo di WhatsApp di una persona, a scopo denigratorio. La fotografia, inoltre, mostrava anche un minore, il figlio della persona ritratta, rendendo la violazione ancora più grave. La Corte ha stabilito che la diffusione non autorizzata di tale foto costituisce un reato, rientrando nel trattamento illecito dei dati, punito ai sensi dell’art.167 del Testo unico sulla privacy del 2003, integrato dal Gdpr (Regolamento europeo sulla privacy). Questo vale soprattutto quando la finalità è denigratoria o offensiva, ma anche in assenza di queste condizioni. L’utilizzo e la condivisione di un’immagine identificativa necessitano in ogni caso di un consenso esplicito, libero, informato e specifico.
Spesso si sottovaluta l'importanza delle immagini pubbliche, ad esempio quelle del profilo di una piattaforma, dimenticando che ogni contenuto che identifichi una persona è tutelato dalle leggi e da una giurisprudenza ormai consolidata. Oltre che di una violazione della privacy, si tratta anche di un attacco alla dignità dell’individuo, che può comportare implicazioni sul piano penale.
Un altro caso che ha suscitato una certa indignazione è stato quello relativo alla pagina Facebook denominata “Mia moglie”, rimasta attiva per mesi e rimossa da Meta solamente il 20 agosto. All’interno di questo gruppo, composto da 30mila persone protette quasi tutte dallo scudo dell’anonimato, alcuni uomini condividevano fotografie intime, spesso rubate o scattate di nascosto, delle proprie mogli, fidanzate o compagne, senza che queste ne fossero a conoscenza né, ovviamente, che avessero dato alcun consenso alla loro diffusione. Nonostante le policy ufficiali di Facebook vietino la diffusione di contenuti sessualmente espliciti, la pagina è rimasta attiva per lungo tempo, mostrando una falla nei sistemi di moderazione automatica e, più in generale, un problema culturale che continua a persistere anche online. Questo episodio sottolinea la necessità di una maggiore responsabilizzazione delle piattaforme nel prevenire la diffusione di contenuti lesivi della dignità delle persone, nonché l’urgenza di una vigilanza attiva e costante.
Un ulteriore caso è quello di Gisèle Pélicot, una giovane donna francese vittima di una violenza sessuale. È stata drogata, stuprata e fotografata nuda da un gruppo di 50 amici, tra cui anche suo marito. Le immagini dell’abuso sono state poi diffuse online, contribuendo a una seconda ondata di violenza. La vicenda ha scosso talmente tanto l’opinione pubblica da diventare un simbolo di connessione tra la violenza fisica e quella digitale, sottolineando come le due dimensioni non siano separate ma anzi siano parte di una medesima matrice culturale.
Fondamentale è la presa di posizione del Garante per la protezione dei dati personali, il quale ha ribadito più volte la centralità del consenso nel trattamento delle immagini personali. Un recente caso ha visto come protagonista sempre Meta, obbligata dal Garante a consentire agli utenti la possibilità di opporsi all’uso dei propri dati per l’addestramento degli algoritmi. Pur trattandosi di una questione diversa rispetto alla diffusione di immagini intime, il principio è lo stesso, ossia nessun trattamento di dati può avvenire senza che l’interessato abbia un effettivo controllo sulle sue informazioni.
Tornando al caso delle fotografie della Meloni, Schlein e Moretti, rubate e diffuse senza consenso, la questione è chiara: la pubblicazione di contenuti che invadono la sfera personale altrui, senza uno scopo giornalistico o di interesse pubblico, è una violazione. Nessuna figura pubblica, per quanto esposta, deve perdere il diritto alla propria privacy. Inoltre, quando si tratta di immagini intime, private, scattate o condivise senza permesso, si entra nel revenge porn, già disciplinato dal Codice penale.
A seguito di queste vicende, risulta evidente come sia necessario un cambiamento culturale. La tutela delle immagini, oltre che della dignità delle persone, dev’essere al centro del discorso pubblico, delle policy delle piattaforme e, in generale, dell’educazione dei cittadini. La Rete non può e non deve diventare “terra di nessuno”. È necessario che si sviluppi una maggior senso di responsabilità. Occorre opporsi alla “normalizzazione” degli abusi che vengono continuamente compiuti nel mondo digitale, soprattutto per quanto riguarda le fotografie, che troppo spesso vengono diffuse con una facilità disarmante.