Fini torna ad Atreju e la destra plaude al "padre prodigo"
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L'ex leader riappare nel luogo simbolo di quella che fu la sua comunità politica per una riedizione dello scontro elettorale con Rutelli del 1993. Un ritorno diviso tra desiderio di riconciliazione e ferite mai rimarginate, dagli strappi col Cavaliere alle rotture in tema di valori.
A settantatré anni Gianfranco Fini è tornato sul palco di Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, come un figliol prodigo che riappare nel luogo simbolo di una comunità politica dalla quale si era allontanato da anni e che non gli ha mai del tutto perdonato i passaggi considerati come tradimenti nei confronti di Silvio Berlusconi e più in generale del centrodestra.
Il suo ritorno ha infatti riaperto ferite mai rimarginate, evocando contraddizioni e rancori che attraversano la storia della destra italiana degli ultimi trent’anni. Fini si è ritrovato ad Atreju per una sorta di riedizione dello scontro elettorale del 1993 per le comunali di Roma contro Francesco Rutelli, sfida che rappresentò uno spartiacque: fu in quell’occasione che Berlusconi, allora agli esordi del suo impegno politico, decise di “sdoganarlo” definitivamente, dichiarando pubblicamente che avrebbe votato per lui. Da quel momento Fini venne accreditato come leader nazionale della destra post-missina, capace di proiettarla oltre le sue tradizioni e di inserirla nel nuovo bipolarismo italiano. Ma il rapporto con Berlusconi, inizialmente improntato a complementarità e interesse reciproco, si trasformò progressivamente in una competizione sotterranea.
Le tensioni crescenti esplosero nella legislatura 2008-2013, periodo in cui la rottura tra i due diventò irreparabile. L’allora presidente della Camera adottò una linea politica che molti nel centrodestra interpretarono come cinica e calcolatrice, un tentativo di capitalizzare le difficoltà giudiziarie di Berlusconi e allo stesso tempo di costruirsi una nuova credibilità istituzionale presso il Quirinale, all’epoca guidato da Giorgio Napolitano, e presso ambienti del centrosinistra con cui intrattenne un dialogo sempre più marcato. In quegli anni Fini si spinse fino a immaginare una maggioranza alternativa che avrebbe potuto far cadere il governo Berlusconi, ma le operazioni politiche che lo sostenevano non ebbero mai l’effetto sperato: il Cavaliere resistette molto più a lungo di quanto molti pronosticassero e il progetto finiano finì per logorarsi.
Il percorso politico di Fini, che nel frattempo aveva guidato Alleanza Nazionale fino alla confluenza nel Popolo della Libertà, entrò così in una fase discendente. La sua nuova creatura, Futuro e Libertà per l’Italia, nacque con ambizioni di rinnovamento ma ottenne risultati elettorali modesti, tanto da essere spesso evocata come esempio di esperimento politico terminato con percentuali da prefisso telefonico. Deluse le aspettative di quanti vedevano in lui il possibile artefice della caduta definitiva di Berlusconi, Fini scomparve lentamente dalla scena politica. L’appoggio al governo tecnico guidato da Mario Monti segnò un ulteriore distacco dal suo elettorato tradizionale e l’episodio della conferenza stampa in cui, insieme a Pierferdinando Casini e Renato Schifani – rispettivamente leader Udc e presidente del Senato mentre lui era presidente della Camera – raccomandò agli italiani, in nome della spending review, di non trascorrere il Capodanno all’estero salvo poi essere sorpreso in viaggio con gli altri due e le rispettive consorti su spiagge esotiche, contribuì a incrinare ulteriormente la sua immagine pubblica.
A rendere ancora più complesso il suo percorso politico intervenne poi la vicenda legata alla famosa casa di Montecarlo, che lo trascinò in una lunga controversia giudiziaria: nel 2023 Fini è stato condannato in primo grado per riciclaggio, decisione contro la quale ha presentato ricorso, mentre il cognato Giancarlo Tulliani risulta tuttora irreperibile secondo quanto riportato dalla stampa dell’epoca.
Oggi, presentandosi ad Atreju, Fini tenta di rivestire i panni del custode dei valori della destra, ma molti ricordano come in passato abbia sostenuto posizioni, dal tema della cittadinanza ai diritti civili, considerate da una parte consistente della base come un’apertura verso la sinistra. Questo ritorno alla ribalta si carica quindi di un’ambivalenza difficilmente dissolvibile: da un lato il desiderio di riconciliazione e recupero della memoria storica, dall’altro la resistenza di chi non gli ha mai perdonato scelte e rotture che hanno contribuito a cambiare profondamente gli equilibri del centrodestra italiano. Fini appare così, ancora una volta, come una figura sospesa tra ciò che è stato e ciò che avrebbe voluto essere, un protagonista della politica che tenta di riavvicinarsi alla sua comunità originaria mentre il giudizio negativo della storia continua a inseguirlo.
Discutibile, quindi, l’accoglienza calorosa che Meloni e i suoi hanno riservato a un personaggio discutibile di cui si ricorderanno nel tempo l’opportunismo, il cinismo e la spregiudicatezza e a cui certamente difettavano la coerenza valoriale e il senso dello Stato.
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