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PARADOSSI

Film sulla figlia di Marx: incoerente come il comunismo

Il film Miss Marx su Eleanor Marx, la figlia preferita dell’inventore del comunismo, parla della contraddizione intrinseca tra l'ideale da lei sposato e la realtà. La morale della pellicola pare essere: l’Aldilà è l’oppio dei popoli e non resta che concentrarsi sulla vita presente, ma così si finisce per suicidarsi. Questo voleva dirci la regista?

Cultura 12_01_2021

Malgrado il sottotitolo del film Miss Marx sia «Il futuro è dalla nostra parte», di marxista in senso stretto c’è poco. Meno male, direte voi. Ma andiamo con ordine. E’ stato in concorso all’ultimo Festival di Venezia ma il lockdown mi ha consentito di vederlo, in streaming, solo con gran ritardo: per mesi ero stato in agguato all’unica sala cittadina che ne prometteva la proiezione (avete indovinato: il cineforum parrocchiale), ma niente.

Scritto e diretto da Susanna Nicchiarelli (è indicato bello grosso nella locandina), è un lavoro incentrato praticamente solo su di lei, Eleanor Marx detta Tussy, la figlia preferita dell’inventore del comunismo. Non so se questa era l’intenzione, ma la regista ha finito col mostrare una protofemmista che vive esattamente in modo contrario a quello che va predicando. Per esempio, la storia-storia ci dice che Karl Marx ebbe un figlio adulterino con la governante di famiglia, Helene Demuth detta Lenchen, e che, per non provocare un pandemonio con la moglie Jenny von Westphalen, chiese all’amico e sodale Friedrich Engels di dire che era suo. Forse perché la moglie di Engels, Lizzie Burns, era più comprensiva di Jenny Marx? Boh. Engels, che manteneva la famiglia Marx (Karl guadagnava pochissimo coi suoi articoli e aveva già sei figli da sfamare), si fece carico pure di questo. Ora, nel film, solo sul letto di morte Engels rivela a Tussy chi sia il vero padre del figlio della governante. E Tussy scoppia in lacrime disperate. Perché? Altro boh. Infatti, era vissuta in mezzo a insegnamenti sulla libertà sessuale e sulla auspicata abolizione della famiglia «borghese» nel paradiso proletario prossimo venturo, dunque, dov’era il problema?

Tra l’altro, in una inquadratura viene mostrata la lapide del cimitero londinese di Highgate dove, nella stessa tomba, sono sepolti Karl Marx, sua moglie Jenny e la governante. Infatti, quest’ultima era stata portata in dote da Jenny quando aveva solo quattordici anni ed era praticamente cresciuta in casa Westphalen. Altra cosa che nel film viene messa in bocca a Tussy è il racconto dell’idillio tra i suoi genitori: a sentir lei, suo padre Karl era stato un giovine bellissimo e corteggiatissimo che aveva dovuto litigare in famiglia per sposarsi con Jenny perché i suoi genitori non la volevano. Un ricordo, insomma, molto romantico, che però cozza contro le idealità progressiste da suffragetta e pure contro la storia (vera): erano i Westphalen, nobili, a non volere che la figlia sposasse un ebreo e pure senza arte né parte (Indro Montanelli scrisse una biografia di Jenny).

Tornando al film, magari i critici spiegheranno perché la colonna sonora è stata affidata a un complessino punk-rock e, a un certo punto, la stessa protagonista si scatena in una danza solitaria hard-rock con movenze indiavolate che neanche in una moderna discoteca. Bene, tutto il film non è altro che il dramma esistenziale di miss Marx (i Marx si erano trasferiti in Inghilterra, da qui «miss» e non «fraulein»), la quale si incapriccia di Edward Aveling, socialista implicato in politica e commediografo spiantato che tocca a lei mantenere. Non solo. Lui è già sposato, ma fa niente: la moglie non gli concede il divorzio, e poi, ma sì, la famiglia borghese è un’ipocrisia. Lui è anche oppiomane, ma fa niente: qualche fumata la fa anche lei quando è giù di corda. Lui - scopre lei - è sposato, sì, ma con un’altra ancora: la prima l’ha lasciato vedovo, lui si è risposato con un’attricetta molto più giovane ma continua a vivere con Tussy perché la moglie vivente è disoccupata e lui non c’ha ‘na lira né voglia di lavorare. A chi le fa presente la situazione in cui si è cacciata, Eleanor Marx oppone un disarmante: sì, ma lo amo tanto. Che cosa avesse di amabile quello scampolo lo sapeva solo lei. Mah. Insomma, se lo tiene perché lo ama così com’è.

Solo che, un bel giorno, decide di suicidarsi, contraddicendo ancora una volta la teoria: in una scena dice al suo nipotino che l’aldilà non esiste, perché se esistesse allora il nonno Karl sarebbe all’Inferno; perciò, meglio che l’aldilà non ci sia. Il nipotino resta perplesso e così noi. La morale (che traiamo noi) eccola: se l’altra vita è l’oppio dei popoli e non resta che concentrarsi sulla presente, è così che va a finire. Era questo che voleva dirci la regista? Boh (ter).