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IL CASO LOMBARDIA

Eterologa o no, chi la vuole è giusto che se la paghi

In  molte Regioni l’accesso alla fecondazione assistita eterologa non è gratis, ma subisce dei vincoli di carattere economico. Come la Regione Lombardia che decise di far pagare per intero, alle coppie richiedenti, il ticket sanitario per accedere a tale pratica. Ma perché allora solo lei viene “condannata” dal Tar?

Politica 31_10_2015
Condannata la Regione Lombardia perché fa pagare la fecondazione eterologa

Dopo che nell’aprile del 2014 la Corte Costituzionale dichiarò legittima la fecondazione eterologa, la Regione Lombardia decise di far pagare per intero, alle coppie richiedenti, il ticket sanitario per accedere a tale pratica. Tra i 1.500 e i 4.000 euro. Le altre Regioni, invece, fanno pagare un ticket assai più scontato? 

A leggere i giornali parrebbe di sì – la cifra mediamente indicata si aggira intorno alle 500 euro – ma quasi nessuno ricorda che vi sono regioni assai eterofile le quali hanno deciso che il ticket man mano cresce con l’aumentare dell’età della candidata mamma. E questo per una motivazione ragionevole: più l’età della donna è matura meno successo avrà la tecnica. Quindi perché buttare una montagna di soldi pubblici per un esito quasi sicuramente infausto? Proprio ora poi che le casse regionali di mezza Italia sono a secco. Insomma, la retrograda Lombardia è in buona compagnia, ma le altre Regioni non vengono giurisprudenzialmente e mediaticamente fustigate forse perché non guidate dalla Lega. 

Quindi, anche in altre parti di Italia l’accesso alla Fivet eterologa non è free, ma subisce dei vincoli di carattere economico significativi. Ecco perché, tra l’altro, l’accesso a questa pratica dal 2014 a oggi è praticamente inesistente. Sono infatti soprattutto le donne attempate che provano l’eterologa per avere figli, ma dovendo pagare molto desistono dall’intento. Le altre donne semmai si sono già cimentate con successo con l’omologa. L’eterologa poi non ha dato i frutti sperati anche perché mancano le donatrici.

Ma torniamo alla Regione Lombardia che non vuole pagare per la fecondazione eterologa. L’Associazione Sos Infertilità Onlus aveva fatto ricorso al Consiglio di Stato per affossare la delibera del Pirellone. Il Consiglio di Stato già aveva dato ragione alla ricorrente, rimettendo però la questione di merito al Tar della Lombardia. Un paio di giorni fa i giudici lombardi hanno anche loro dato semaforo verde per il rimborso quasi totale della pratica della fecondazione eterologa. Il presidente Maroni a sua volta ha annunciato ricorso. Interessanti le motivazioni indicate nella sentenza del Tar. In primo luogo si citano le parole della Consulta allorché nel 2014 aprì le porte all’eterologa: «l’impossibilità di formare una famiglia con figli può incidere sulla salute di una coppia», e il termine “salute” è «comprensivo anche della salute psichica, oltre che fisica». Quindi se fai pagare per avere un figlio, molti desistono e da qui si genera nella coppia un profondo dolore perché viene impedito loro di diventare genitori e la loro salute emotiva ne viene intaccata.

Un paio di note. La prima: nell’eterologa a ben vedere il genitore biologico, se va bene, è solo uno. L’altro diventa per finta “genitore” del bambino. Quindi è vero a metà che l’eterologa soddisfa il “diritto alla genitorialità”. In seconda battuta, il Tar considera il desiderio di avere un figlio un diritto, che se violato provoca un ingiusto danno alla sfera psicologica-emotiva della coppia. Ma nessuno può vantare un diritto sulla persona di un altro (semmai c’è il diritto che l’altro svolga per me una prestazione). In terzo luogo, pare che lo Stato/le Regioni mi debbano tutelare da qualsiasi dolore e quindi siano obbligate a soddisfare tutti i miei desideri: avere il posto di lavoro più retribuito al mondo, sposare una top model, diventare famoso, giocare in serie A. Non farlo mi recherebbe un gran dispiacere e dunque una lesione al mio diritto alla salute.

Poi i giudici così proseguono: «l’autorità amministrativa non può ostacolarne la realizzazione (di una famiglia N.d.A.) ponendo a carico degli interessati l’intero costo della stessa». Di primo acchito pare veramente che il figlio sia un prodotto che ha un prezzo il quale deve essere calmierato dalla Regione, come se fosse un sacco di farina per fare il pane. Ma i bambini non sono oggetti di consumo. Questo passaggio è poi schizofrenico se lo mettiamo a confronto con le politiche familiari: zero aiuti per le coppie che vogliono metter su famiglia rispettando le leggi di natura, migliaia di euro per quelle che vogliono fabbricarsi il bebè in laboratorio (tra l’altro con scarsi risultati in termini di bambini in braccio e quindi contraddicendo il principio di diritto amministrativo che fa riferimento all’efficacia degli interventi rispetto anche alle risorse disponibili). Ma le prime coppie non sono frustrate anch’esse nel loro desiderio di genitorialità?

Altra motivazione per costringere i contribuenti lombardi a pagare una pratica iniqua: «Il trattamento deteriore riservato alla Pma di tipo eterologo appare illegittimo anche per violazione del canone di ragionevolezza, attesa la riconducibilità di questa allo stesso genus della Pma di tipo omologo, assoggettata invece al pagamento del solo ticket». Detto in parole povere: appare discriminatorio prevedere un ticket più basso per le coppie che vogliono l’omologa rispetto a quelle che vogliono l’eterologa. In effetti, i giudici hanno doppiamente ragione. Occorrerebbe far pagare prezzo pieno anche a chi vuole l’omologa. E per una semplice motivazione non certo di carattere punitivo: la fecondazione artificiale, omologa o eterologa che sia, non è un terapia perché non cura dall’infertilità e dalla sterilità. Aggira solo il problema. 

Allora, dato che non è una cura, perché il Servizio Sanitario dovrebbe sborsare soldi di tasca propria? Chi la vuole se la paghi. In secondo luogo, i giudici hanno un’altra volta ragione: una volta ammessa una pratica illecita – la fecondazione artificiale – appare difficile fare dei distinguo. Rimborso te e te invece no. Bene hanno detto i magistrati quando hanno parlato di identico “genus” delle due pratiche: il genus morale di entrambe è «azione intrinsecamente malvagia». Il resto – gameti della coppia o no – è solo una variazione sul tema.