Due gay in una cella, unione "incivile" e forzata a Rebibbia
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A raccontare la vicenda è l'ex sindaco Alemanno, recluso nel penitenziario romano dove due omosessuali sono involontari protagonisti di una coabitazione coatta in un cubicolo privo di privacy e anche di lavandino. Esperimento sociale o iniqua strategia?
Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma, nonché ex ministro delle Politiche agricole e forestali sotto il governo Berlusconi, è nel carcere di Rebibbia dal 31 dicembre del 2024 per finanziamento illecito e traffico di influenze illecite, nell’inchiesta denominata “Mafia Capitale”. Sta scontando una condanna di un anno e dieci mesi. Alemanno tiene un diario di cella che, pagina dopo pagina, pubblica tramite i social. La puntata n. 29 di questo diario, scritta da Alemanno insieme ad un altro detenuto, racconta una storia che fosse stata una sceneggiatura di un B movie sarebbe finita nel cestino.
La storia è la seguente. Zoran, un rom dichiaratosi gay «molto matto e incontrollabile», in una delle sue crisi di follia distrugge il lavandino della cella in cui era recluso e tenta il suicidio. Medicato, viene lasciato in quella cella senza lavandino. Il secondo personaggio di questa storia è Joao Victor. Anch’egli è gay e viene recluso in una cella singola del reparto dei trans, sebbene non abbia iniziato nessun percorso di transizione. Ma la cella «non ha i servizi igienici, né lavandino, né WC». Di giorno quindi Victor emigra in altre celle chiedendo ospitalità per la minzione e l’evacuazione, di notte invece ripiega su un secchio lasciato nella cella. L’ininterrotto transito dura quattro giorni finché l’Amministrazione «ha avuto una brillante idea: trasferire Joao Victor nella stessa cella di Zoran».
Sostanzialmente una unione incivile, viste le condizioni non dignitose della detenzione. Infatti la cella era già di suo striminzita per Zoran, figuriamoci ora con due ospiti. Inoltre è una cella senza lavandino e con un solo WC. Una tazza per due. WC «che, come in tutte le celle singole, non ha nessuna copertura per garantire un minimo di privacy. […] E così – annota sempre il diario di Alemanno – da cinque giorni, Zoran e Joao Victor convivono in assoluta intimità, di letto e di cesso, nello stesso “cubicolo” dove avranno circa un metro quadro di spazio ciascuno, quando i regolamenti europei impongono che ogni detenuto abbia almeno 3 mq a testa, altrimenti le condizioni di vita sono dichiarate “inumane” e vengono equiparate alla “tortura” (art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo)».
L’ex sindaco di Roma si domanda ironicamente se questa soluzione sia stata adottata per garantire ai due gay il “diritto all’affettività”, diritto da tutelare anche nei confronti dei detenuti. Però, aggiunge il Nostro, «peccato che si tratti di un matrimonio combinato e nessuno ha chiesto a Zoran e a Joao Victor se gradiscono questa soluzione». Insieme finché pena non vi separi.
E così a Rebibbia pare che si siano inventate pene alternative, ma di maggior gravità rispetto alla carcerazione classica: coabitazione h24 con gay in stato di accesa alterazione psichica, deprivazione dello spazio vitale e degli strumenti per la quotidiana azione d’escrezione e/o per la propria igiene personale, cancellazione del diritto alla privacy quando se ne sente maggiormente il bisogno. Oppure potrebbe essere un esperimento sociale per testare la tenuta psicologica di uno psicolabile in situazioni di stress e, di converso, per verificare in quanto tempo un soggetto psicologicamente sano diventa insano. Oppure ancora, tenuto conto che la pena – e qui la situazione è oggettivamente penosa – mira anche alla rieducazione del reo, si vorrebbe far prendere coscienza a Zoran e Victor della preziosità di ampi spazi propri, della bellezza della solitudine ricercata in certi momenti del giorno quando natura chiama, dell’utilità di quei mezzi indispensabili per la cura della persona.
Oppure, infine, si potrebbe trattare di un’iniqua strategia architettata per mostrare quanto le persone omosessuali siano discriminate, anche all’interno delle carceri. Ma forse su questo aspetto l’apologeta dell’omosessualismo avrebbe da obiettare: posto che le condizioni di detenzione di Zoran e Victor non sono dignitose, perlomeno i due detenuti vivono una situazione astrattamente desiderabile, ma vietata ai loro colleghi etero che, mutatis mutandis, non vedrebbero l’ora di essere rinchiusi in una stessa cella con una donna.
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