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ITINERARI DI FEDE

Dove l'arcangelo pesa le anime prima del Giudizio

Nel tratto della via Francigena che congiungeva Novara a Borgomanero, probabilmente intorno al XII secolo fu eretto un piccolo oratorio per accogliere i pellegrini. La dedicazione della chiesa alla Trinità è da collegare all’espansione dei monaci Cluniacensi in Italia settentrionale già dall’XI secolo.

Cultura 12_12_2015
La chiesa della Santa Trinità a Momo

Lungo l’antico tratto della via Francigena che congiungeva Novara a Borgomanero, situato poco fuori dall'abitato di Momo probabilmente intorno al XII secolo fu eretto un piccolo oratorio per accogliere e ristorare viandanti e pellegrini. Il luogo era presumibilmente sacro in epoche ancora più remote: a una necropoli di età celtica sembra, infatti, che appartengano reperti archeologici recentemente rinvenuti in quell’area.  La dedicazione alla Santissima Trinità è da collegare, invece, all’espansione dei monaci Cluniacensi in Italia settentrionale già dall’XI secolo. 

Del primitivo edificio oggi restano solo il basamento della torre campanaria, dove fu poi ricavato l’ambiente della sacrestia, e l’abside romanica che nel XVI secolo venne inglobata in una cappella addossata alla chiesa per proteggerne l’affresco della parete esterna. Quest’ultimo rappresenta una Madonna del Presepe verso la quale la popolazione locale da sempre nutre una profonda devozione. Due archi a sesto acuto suddivisero, nel XV secolo, l’unica aula in tre campate, cui se ne aggiunse una quarta quando venne chiuso il vestibolo antistante l’ingresso. 

Oggi la chiesa ha una semplice facciata a capanna, preceduta da un piccolo portico. Dei sette affreschi esterni devozionali, le cui notevoli dimensioni avevano il compito di catturare l’attenzione del fedele, ne sono rimasti solo cinque, disposti sulla parete sud. Essi rappresentano San Grato benedicente, da invocare contro il maltempo, Sant’Antonio Abate, San Giulio, la Pietà e San Cristoforo.  

Se l’immagine è la scrittura degli illetterati, come sosteneva papa Gregorio Magno, ecco allora che il prezioso intervento decorativo all’interno dello spazio sacro, firmato dai fratelli Cagnola e risalente ai primi decenni del Cinquecento, un unicum nel Novarese per unitarietà e qualità, rese le sue pareti strumento di una vera e propria “muta predicazione”. La storia della salvezza si dipana su queste mura a partire dal catino absidale dove è rappresentata una Trinità all’interno di una mandorla iridata, sorretta da angeli. 

Gli apostoli sottostanti, ciascuno con il suo attributo caratterizzante o lo strumento del proprio martirio, sono i mediatori della fede la quale va testimoniata con la vita, come sembrano dire le Sette Opere di Misericordia raffigurate nel registro inferiore. Trentasette episodi raccontano l’Infanzia e la Passione di Gesù, occupando ogni angolo di superficie disponibile e attingendo non solo da testi canonici ma anche dai testi apocrifi. Dall’Annunciazione dell’arco trionfale si arriva al Giudizio Universale della parete che anticamente fungeva da controfacciata. Qui, accanto a Cristo Giudice, l’arcangelo Michele pesa le anime e in due differenti limbi, dei bambini e dei padri, le anime aspettano quel giudizio divino già definitivo per i dannati che bruciano nel calderone. 

Ai santi raffigurati nei sottarchi, infine, il popolo di Dio può e deve affidarsi durante il lungo cammino verso la salvezza. Il linguaggio tardo gotico di questa pittura, volutamente popolare, di immediata lettura, aveva il compito di coinvolgere il fedele nel racconto, per renderlo emotivamente partecipe della sacra rappresentazione che si svolgeva davanti ai suoi occhi.