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NOTA POLITICA

Dietro l'accordo di Arcore nessun gesto coraggioso

L’obiettivo di rassicurare i mercati poteva diventare occasione per grandi riforme ma sembra che sia servito soprattutto a rassicurare gli elettorati.

Attualità 31_08_2011
berlusconi
L’accordo di Arcore, raggiunto tra Tremonti, Pdl e Lega dopo lunghe ore di duro confronto, può essere valutato dal punto di vista economico, sociale e, naturalmente, anche politico. Da quest’ultimo punto di vista si può dire che il quadro politico della maggioranza ha tenuto, nuove figure politiche sono emerse dietro i grandi vecchi, le contrapposizione tattiche della vigilia sono state superate, la conclusione della legislatura sembra maggiormente garantita. Ciò, tuttavia, in un quadro ancora non consolidato.

Dal punto di vista delle ragioni politiche sia Tremonti che la Lega hanno rinunciato a qualcosa. Tremonti ha ottenuto di non aumentare l’Iva, come era nei suoi desideri, ma ha anche dovuto accettare  l’abolizione del contributo di solidarietà. La Lega ha dovuto accettare l’abolizione delle province, almeno come progetto, poi nel concreto si vedrà. Apparentemente Berlusconi ha ottenuto dei vantaggi: non tanto l’abolizione del suddetto contributo di solidarietà inviso al suo elettorato, ma soprattutto, dal punto di vista politico, il ridimensionamento di Tremonti senza che questo abbia comportato una rottura, l’ammorbidimento della Lega e la conferma del suo ruolo di guida.

Per tutti questi motivi il premier ha potuto dire che il governo completerà la legislatura. Dati alla mano non gli si può dare torto, visto il ricompattamento verificatosi ad Arcore ove nessuno, a leggere le cronache, ha battuto i pugni sul tavolo e minacciato dimissioni o elezioni anticipate a fronte della situazione interna al Partito democratico. Se la legislatura si completerà sarà anche perché il centro sinistra stenta a trovare una linea comune, come di recente testimoniato anche dalle risposte in ordine sparso date al progetto di sciopero generale della Cgil o le diversità di posizioni sulla proposta di referendum sulla legge elettorale.

Ad Arcore sono anche emerse le figure di Angelino Alfano e Roberto Maroni. E’ vero che il loro aumentato ruolo è dipeso dalla conflittualità tra i leader e dagli spazi che questa ha lasciato liberi, tuttavia il primo ha trovato la conferma di un suo effettivo peso politico e il secondo di una capacità di manovra sufficientemente libera da tutele. In qualche modo i partiti di governo hanno lasciato intravvedere una linea di continuità per il futuro.

Ciononostante le difficoltà della maggioranza continueranno. Continueranno perché l’Udc di Casini, che si era offerta di votare la manovra in cambio di una maggiore attenzione alla famiglia, ha dato un giudizio fortemente negativo. Continueranno perché la posizione di Cisl e Uil è molto critica, soprattutto per gli interventi sulle pensioni. Continueranno perché dentro i due maggiori partiti di maggioranza – Pdl e Lega – ci sono ampi movimenti sospinti proprio dalla prospettiva della conclusione della legislatura che ripropone il problema della successione a Berlusconi e a Bossi. Se si andasse a votare nel 2012 il problema non si porrebbe, ma nella stabilità fino al 2013 si pone.

Se però si va a vedere quanto questo nuovo clima politico ha prodotto si rimane piuttosto delusi, non tanto dai singoli provvedimenti, che possono accontentare alcuni e scontentare altri, quando dal respiro politico complessivo della manovra. Non ci sono stati slanci di coraggio, ma la tessitura di un complicato ordito nel tentativo di mantenere i saldi previsti senza scontentare troppo i rispettivi elettorati.

L’obiettivo di rassicurare i mercati poteva diventare occasione per grandi riforme ma sembra che sia servito soprattutto a rassicurare gli elettorati. Il raggiunto equilibrio interno ha avuto un prezzo. Questo è il risultato politico degli accordi di Arcore: il governo continua, le liti sono per il momento superate, emergono nuovi uomini politici dietro le spalle dei “giganti” ma, prevalentemente presi da questi obiettivi non si è vista la spinta a pensare in grande. Nessuna riforma del welfare, nessun intervento significativo sulla famiglia, nessuna razionalizzazione dello Stato.

Qualcuno dirà che la riduzione dei parlamentari stabilita ad Arcore è una di queste cose pensate in grande. Però, a parte la lunghezza dei tempi e l’insidia del percorso, una simile riforma assunta per esigenze di bilancio non dimostra grandi motivazioni, a meno che non venga inserita in una nuova architettura costituzionale che naturalmente esula dagli accordi di Arcore. Qualcun altro la vedrà nella eliminazione delle province, che però viene pure rinviata ad una riforma costituzionale. Lotta all’evasione, accorpamento funzionale dei piccoli comuni, contributo di solidarietà a carico dei parlamentari non possono essere considerati interventi coraggiosi ma di ordinaria amministrazione.