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GIOCHI DI POTERE

Di Maio esce dai 5 Stelle. Ma non solo per l'atlantismo

Dopo la vittoria del governo Draghi sul voto per l'invio di nuove armi all'Ucraina, è avvenuta la nuova scissione nel Movimento 5 Stelle. Il ministro degli Esteri Di Maio è uscito dal partito, in pieno dissenso sulla politica estera. Lo fa per garantirsi la possibile rielezione, bypassando la regola del doppio turno. Ma l'atlantismo pagherà nel 2023?

Politica 23_06_2022
Luigi Di Maio

Nelle ultime 48 ore, dopo il superamento della prova parlamentare da parte del premier Draghi, che ha ottenuto il lasciapassare per inviare altre armi all’Ucraina, non si parla d’altro che della scissione nei 5 Stelle. La scelta di Luigi Di Maio di rinnegare tutto il suo passato e di lasciare la creatura politica che lo ha strappato, anni fa, al grigio anonimato campano, ha del sorprendente, ma non deve stupire più di tanto. La sua sorte nel Movimento sarebbe stata segnata perché la tagliola del doppio mandato gli avrebbe impedito di proseguire il suo percorso politico. Ora è libero di non rispettare quel principio previsto dalle regole pentastellate e potrà ricandidarsi in altre formazioni o fondare un suo partito.

Come ha giustamente rilevato il Presidente della Camera, Roberto Fico, non c’entrano nulla gli ideali perché la scissione decisa dal Ministro degli Esteri è solo un’operazione di potere, che guarda alle prossime politiche, quando gli schieramenti si ricomporranno su basi nuove e ci sarà spazio per altre aggregazioni. La maschera della politica estera serve in questo momento a Di Maio per mimetizzarsi e riciclarsi senza scegliere fin da ora le alleanze. Il suo gruppo farà accordi con chi gli offrirà il maggior numero di seggi nel 2023. L’aggressione russa ai danni dell’Ucraina è dunque solo il pretesto per manovre già decise a tavolino da mesi.

Al netto di questa evoluzione/involuzione in casa grillina, rimane lo scenario complessivo della situazione nazionale e internazionale, che non può non allarmare. Un mese dopo lo scoppio della guerra qualcuno si illudeva che lo sfiancamento russo potesse essere dietro l’angolo, anche grazie alla osannata incisività delle sanzioni decise dall’Ue nei confronti di Mosca. A quasi 4 mesi dai primi attacchi russi all’Ucraina l’andamento delle operazioni belliche non è affatto chiaro, mentre si percepiscono in maniera drammatica i primi effetti che le scelte dei governi filo-americani, compreso il nostro, stanno provocando sulla qualità delle nostre vite. Anzitutto tanta incertezza sul futuro, con mercati finanziari in caduta libera e milioni e milioni di euro che ogni giorno si volatilizzano nelle negoziazioni di Borsa perché le aspettative sono sempre più aleatorie per tutti. In secondo luogo, riflessi concreti, immediati e per certi aspetti devastanti sugli approvvigionamenti di materie prime e di gas. La Russia ci ha ridotto le forniture e, di questo passo, davvero ci saranno difficoltà e rischiamo un autunno e un inverno al gelo se il cosiddetto “piano B” più volte annunciato dal governo italiano non dovesse rivelarsi sufficiente. Affrancarsi dalla dipendenza dal gas russo non sarà per niente semplice e non sarà a buon mercato per l’Italia, che più di altri Stati si è esposta in favore dell’Ucraina, attirandosi le ire dei putiniani.

L’addio di Di Maio ai 5 Stelle segna anche una frattura tra la componente grillina filo-atlantista e quella più tiepida e che rimane saldamente alla guida del Movimento con Giuseppe Conte. Non sono state affatto ragioni ideali a spingere il Ministro degli Esteri a consumare lo strappo, ma calcoli di realpolitik, questo è evidente. Ora però, agli occhi dell’elettorato, è sempre più chiaro che chi vuole la cessazione della guerra attraverso lo stop all’invio di armi sarà naturalmente portato a votare 5 Stelle. La fuoriuscita di Di Maio forse serve a connotare in maniera ancora più pacifista la linea grillina. Che questo possa tradursi in voti fra 10 mesi nella primavera prossima è tutto da dimostrare, però può essere un’ipotesi.

I commentatori politici sembrano pronosticare un radioso futuro politico per Di Maio e un ulteriore crollo di consensi per Conte. Il primo è sotto l’ombrello protettivo del premier Draghi, il secondo ha appena perso le elezioni amministrative ed è fuori dal Parlamento. Ma potrebbe rivelarsi una leggerezza fare previsioni sulla base degli attuali rapporti di forza. Molti ministri che sono al governo, anche lo stesso Di Maio, hanno perso gran parte del loro bacino elettorale. Hanno potere, quello che l’attuale premier è disposto a concedergli, ma non hanno voti. E questo si capirà fra meno di un anno. I consensi rimangono nelle mani delle forze politiche, in particolare di quei parlamentari che hanno avuto più tempo per lavorare sui territori. Inoltre, se il prossimo autunno dovesse rivelarsi “caldo” dal punto di vista energetico e dei costi di carburanti e materie prime, siamo così sicuri che il fronte draghiano possa continuare a risultare prevalente? La moltiplicazione delle povertà, che non sono state affatto sconfitte quando Di Maio e i suoi ex compagni di viaggio lo annunciarono dal balcone di Palazzo Chigi, potrebbe essere la miccia per far esplodere il malcontento popolare, che facilmente si canalizzerebbe verso forze politiche di protesta. Matteo Salvini questo lo ha capito e, per recuperare voti e non lasciare campo libero a Giorgia Meloni e, sull’altro versante, ai 5 Stelle, sta tentando di riposizionarsi su un fronte più critico verso Draghi.

Se dunque sono in tanti a pensare che Di Maio sia stato astuto nel salire sul carro del vincitore, che in questo caso significa Draghi con i suoi accoliti, non è detto che questi opinionisti non siano presto costretti a ricredersi. Sottovalutare la resilienza russa, favorita anche dall’asse con Cina e India e dalle crepe sul fronte europeo, e dare per scontata la prevalenza del fronte atlantista ed europeista potrebbe rivelarsi un grave errore. Che gli italiani, più di altri cittadini europei, pagherebbero a caro prezzo.