Denatalità, le motivazioni culturali che non si vuol riconoscere
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Da un sondaggio condotto in diversi Paesi europei emerge che i giovani italiani sono i meno propensi ad avere figli, non più considerati una parte essenziale della nostra vita.
La denatalità morde sempre di più in Europa: 1,18 figli per donna in Italia, 1,62 in Francia, 1,1 in Spagna, 1,35 in Germania e 1,41 in Gran Bretagna. Constatato questo scenario desolante, il Sole 24 Ore ha pensato bene di commissionare a Noto Sondaggi un’indagine demoscopica sul tema denatalità per metterne in luce le cause. L’indagine ha riguardato un campione di giovani tra i 18 e i 35 anni che vivono in Italia, Spagna, Germania, Gran Bretagna e Francia. Il succo del sondaggio è questo: i giovani e giovanissimi italiani sono molto meno pro-family dei loro coetanei europei e i motivi sono culturali. Analizziamo qualche dato.
Alla domanda se si intende avere un primo figlio o altri figli il 42% dei giovani italiani risponde «Forse, ma non ho progetti concreti», quando invece la maggioranza seppur relativa degli altri Paesi (circa un terzo degli intervistati) dichiara che pensa di avere un figlio entro i prossimi 3-5 anni. E quei pochi italiani che intendono avere figli li vogliono in un numero inferiore rispetto a quello indicato da spagnoli, francesi, tedeschi e inglesi.
Per la maggior parte degli italiani (57%) non si mettono al mondo più bambini per motivi economici (siamo superati in questo giudizio solo dai tedeschi). I motivi culturali sono indicati solo dal 13% del campione (tale percentuale è più bassa rispetto a quella indicata dagli altri Paesi). Va da sé che per i giovani italiani i rimedi passano attraverso gli incentivi economici e la riorganizzazione del lavoro. All’ultimo posto troviamo i cambiamenti culturali. Ma, come vedremo, i motivi culturali in realtà sono al primo posto secondo il giudizio degli stessi intervistati.
Un’altra domanda è rivolta solo a chi non ha figli o non li vuole avere: perché non li cerchi? Indichiamo solo le prime quattro risposte più gettonate: costo della vita (41%); mancanza di un partner stabile (39%); libertà personale e carriera (37%); instabilità lavorativa (30%). E chi ha deciso di non avere figli dichiara, nel 60% dei casi, che è frutto di una decisione autonoma, presa perché lo rende felice. Ecco che accanto a motivazioni di carattere economico iniziano ad occhieggiare altre motivazioni di carattere psicologico e sociologico.
Queste differenti motivazioni iniziano a consolidarsi quando si chiede di indicare i fattori più significativi che influenzano la decisione di non avere figli (le percentuali qui indicate sono sempre maggiori rispetto agli altri Stati): costi (78%); incapacità di conciliare famiglia e lavoro (77%); insicurezza sul lavoro (71%); incertezza sul futuro (70%); stile di vita (60%); mancanza di supporto familiare (58%); limitazione della qualità di vita personale (52%); immaturità personale (50%).
Le motivazioni di carattere sociale e psicologico per decidere di non avere figli poi emergono ancora più chiaramente dalle seguenti affermazioni: il 58% è d’accordo che avere figli è una tappa della vita adulta (ma in questo giudizio arriviamo penultimi rispetto agli altri Paesi); le persone oggi privilegiano la libertà personale alla genitorialità (64%); la genitorialità è una delle molte forme di realizzazione personale (70%); oggi si è meno propensi a ridefinire la proprie priorità personali per diventare genitori (64%); oggi è difficile conciliare la famiglia con l’autorealizzazione (70%); le aspettative sociali influenzano ancora grandemente la decisione di avere figli (62%).
In merito al contesto sociale in cui abitiamo, gli italiani sono più critici rispetto agli altri cittadini europei verso il sistema Paese in cui vivono sempre relativamente al tema della genitorialità: le politiche sulla natalità, il contesto lavorativo e sociale, le istituzioni etc. non aiuterebbero a sufficienza. In particolare, per il 72% del campione (negli altri Paesi le percentuali sono nettamente inferiori) la società non valorizza adeguatamente la genitorialità rispetto alla realizzazione personale e professionale. Quindi è un’accusa verso la mentalità diffusa, ma poi nelle risposte che abbiamo già indicato, sono gli intervistati stessi che si adeguano a questa mentalità anti-natalità. Insomma imputano agli altri un errore che sono loro stessi a compiere.
Proviamo a fare una sintesi di tutti questi dati. Il campione ha indicato nelle motivazioni economiche le prime cause che dissuadono dall’avere un figlio. Poi vengono indicate altre cause non strettamente di carattere economico: mancanza di un partner stabile, limitazione della libertà personale, carriera, mancanza di un supporto familiare, immaturità, paura del futuro, clima sociale che non valorizza la genitorialità, mancanza di politiche adeguate. Le motivazioni economiche e le altre di carattere sociale e psicologico possono essere collegate tra loro? Sì. Se confrontiamo tutte le risposte osserviamo che nella coscienza collettiva il figlio non vale così tanto da sacrificare libertà personali, aspirazioni, carriera. Tanto è vero che chi non ha figli è felice di non averli, anche perché parte del campione è così giovane che non si vede ancora come padre e madre.
Ne avevamo già parlato a suo tempo: «supponiamo che Tizio non voglia comprare una Ferrari perché non vuole spendere 1.000 euro per acquistarla. Tutti gli diremmo che è un pazzo e che sta perdendo una grande occasione. Il gioco vale assolutamente la candela. Tizio adduce motivazioni economiche, ma il problema di Tizio sta nel fatto – vera causa del mancato affare – che è stato incapace di riconoscere il valore di una Ferrari». Il figlio, nel percepito collettivo, toglie quelle risorse economiche utili per la propria realizzazione personale. Allora la causa prima della denatalità non sono i soldi, ma la mancanza del riconoscimento della preziosità del figlio. Questo, per così dire, errore di stima non è così incidente nel resto d’Europa.
Sono gli stessi intervistati ad ammettere che i soldi non sono la vera motivazione per non avere figli: per molti diventare genitore non è una tappa fondamentale dell’esistenza; le persone oggi privilegiano la libertà personale alla genitorialità; diventare genitori è una delle molte forme di realizzazione personale e non una delle più eccelse (Nb: 70%); vi sono altre priorità rispetto alla genitorialità; oggi è difficile conciliare la famiglia con l’autorealizzazione, dimentichi del fatto che è nella famiglia che ti realizzi e che quest’ultima non è nemica della tua felicità, ma componente essenziale della stessa; l’orientamento culturale non è sicuramente pro-family.
Dunque le motivazioni culturali, che solo il 13% del campione considera scriminanti nella decisione di avere dei figli quando a lui viene posta una domanda diretta sul tema, sono in realtà determinanti, a detta degli intervistati stessi quando si chiede un loro parere su differenti motivazioni sociali e culturali che portano all’inverno demografico. E dunque è la cultura diffusa che ci ha insegnato almeno due cose: prima veniamo noi e poi i figli, perché questi possono essere nemici della nostra felicità. Secondo: i figli sono un accessorio, non parte essenziale della nostra vita.
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