Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giuseppe a cura di Ermes Dovico
IL VOTO AL SENATO

Ddl Zan affossato, una bella vittoria (ma solo a metà)

Il Ddl Zan è rimasto vittima della “tagliola” e di quei parlamentari che nel segreto dell’urna hanno votato (nel verso giusto) con la coscienza libera dai diktat di partito. Ma la quasi totalità dei contrari al Ddl Zan non coglie il male in sé delle proposte di legge contro la cosiddetta omofobia, che elevano a bene giuridico un disordine, ed è favorevole a un testo con modifiche. E gli attivisti Lgbt hanno altre armi giuridiche per zittire il dissenso. Ci sarà quindi ancora da combattere, ma fa ben sperare il risveglio dell’associazionismo cattolico.
- UNA SCONFITTA POLITICA PER PD E 5 STELLE, di Nico Spuntoni

Attualità 28_10_2021

Lo ricorderemo come il Ddl Zac per via della cosiddetta tagliola (non esaminare la legge articolo per articolo e procedere a scrutinio segreto) che ha affossato il testo di legge dell’on. Alessandro Zan. Quali i motivi di questo insperato successo?

Come causa prossima potremmo ovviamente indicare la volontà di Lega e Fratelli d’Italia di impedire il varo di questa legge. Ma la vittoria in Parlamento la dobbiamo soprattutto a quelle decine di militi ignoti, ma non certo ignobili, che nel segreto dell’urna hanno votato con la coscienza libera dai diktat di partito. «Avevamo 149 voti, contati e controllati», dichiara Loredana De Petris di Leu: «Quindi c’è stata una defezione di 18 voti, 16 sono andati al centrodestra, 2 astenuti. Le assenze non sono state rilevanti. Il problema è di chi dice una cosa e poi ne fa un’altra». A parte che a noi non pare un problema dire una cosa sbagliata e poi farne una giusta (sempre meglio dire e fare cose giuste, ma va bene anche così), il voto segreto ha permesso di mettere in evidenza quanto ordinariamente i parlamentari non siano davvero liberi nel loro lavoro, bensì debbano sempre rispondere agli ordini di partito. Più che rappresentanti del popolo, deputati e senatori sono rappresentanti di partito.

Torniamo però alle cause della morte del Ddl Zan e domandiamoci: quanto ha pesato la reale convinzione che il Ddl Zan fosse una legge intrinsecamente iniqua e quanto invece i calcoli politici? La risposta, crediamo, non può che essere articolata. Dunque, da parte di Fratelli d’Italia l’opposizione era scontata, d’ufficio potremmo dire. Per la Lega, e non solo per lei, vi sono anche finalità strategiche dato che, come è noto, questo governo presenta un arcobaleno - è proprio il caso di dirlo - di anime diverse. Oltre a questo motivo, tra i leghisti e tra coloro che non hanno seguito le direttive di partito vi sono certamente alcuni, se non molti, che hanno trovato il Ddl Zan criticabile su più fronti.

Però qui s’inserisce un distinguo importante. Pensiamo che la quasi totalità di coloro che hanno votato contro il Ddl Zan non ritengano che il testo di legge sia inaccettabile, bensì solo modificabile. E infatti molti hanno proposto modifiche al testo e la Lega, lo ricordiamo, propose anche un proprio disegno di legge sulla cosiddetta omofobia. E qui sta l’errore. Il problema di tutte queste proposte riguarda la ratio comune ad esse: la legittimazione dell’omosessualità e della transessualità (la prima è già avvenuta con la Legge Cirinnà sulle unioni civili e la seconda con la disciplina normativa sulla cosiddetta rettificazione sessuale). In buona sostanza, è doveroso tutelare la persona in quanto tale da minacce, insulti, aggressioni, ingiuste discriminazioni, al di là del fatto che sia eterosessuale o omosessuale, credente o non credente, bianco o nero, etc. E questo il nostro ordinamento giuridico già lo fa. Invece tutte le proposte volte a combattere l’“omotransfobia” - da quella di Alessandro Zan a quella di Matteo Salvini - elevano a bene giuridico due condizioni - l’omosessualità e la transessualità - che invece sono condizioni intrinsecamente disordinate. E l’ordinamento giuridico non può considerare un bene giuridico ciò che è disordinato per la natura umana.

Dunque, questa è una vittoria a metà. Chi ha votato contro lo ha fatto per calcoli politici e/o perché persuaso che il nucleo della proposta fosse anche buono però infettato da derive estremiste liberticide, non perché convinto che la legge fosse essenzialmente ingiusta, ma solo accidentalmente ingiusta. In conclusione, bene che la legge non sia passata, sebbene non per le motivazioni migliori.

Di certo non avremmo potuto chiedere ai nostri politici di far meglio dato che il consesso sociale è fortemente gay friendly. Il Parlamento, in questa materia, ha rispecchiato quasi fedelmente il sentimento diffuso pro-Lgbt. Abbiamo scritto “quasi” perché per il popolino molto probabilmente il Ddl Zan doveva passare. La differenza di giudizio tra il cittadino e il politico con buona probabilità l’hanno fatta il calcolo strategico-politico e un esame attento sotto il profilo delle libertà costituzionalmente garantite. Sicuramente invece riflessioni di carattere morale non hanno spostato l’ago della bilancia al momento del voto.

Ci possiamo anche concedere adesso 24 ore di festeggiamenti, ma da domani si torna in barricata almeno per due motivi. In primo luogo, gli attivisti Lgbt ci possono ancora far del male con le armi del diritto anche senza Ddl Zan: i reati di diffamazione, calunnia, gli artt. 604 bis e ter del Codice penale vengono (ab)usati abitualmente per zittire l’avversario. Le vicende giudiziarie di Silvana De Mari, Simone Pillon e Massimo Gandolfini insegnano in tal senso a non abbassare la guardia. In poche parole, queste norme in mano a giudici particolarmente sensibili alla causa Lgbt si possono trasformare in tanti Ddl Zan.

In secondo luogo la volontà della maggioranza dei partiti di modificare il testo dell’on. Zan ci fa comprendere che a breve si tornerà in Parlamento con un testo nuovo sull’“omofobia” (c’è chi addirittura vuole riesumare il vecchio Ddl Scalfarotto). Insomma non sarà un testo pessimo come quello dell’on. Zan, ma solo meno peggiore. Questo non ci deve far dormire sonni tranquilli perché, lo ripetiamo, nessuna legge sull’omofobia è accettabile. Inoltre, anche se passasse una legge soft sull’“omofobia”, in breve tempo la sua applicazione nelle aule giudiziarie diventerà hard e col tempo la stessa legge potrebbe modificarsi in peius (Legge 40 docet).

Ciò detto, però, il motivo di maggior speranza intorno a questa vicenda viene non dai parlamentari, ma dai pro-family. È indubbio che l’associazionismo cattolico si sia risvegliato su questo tema e abbia dato battaglia lungamente e con convinzione, marciando sotto il vessillo del rifiuto del disegno di legge senza se e senza ma. Non crediamo che tutte queste ottime energie siano riuscite ad orientare più di tanto il voto di qualche parlamentare, ma di certo hanno illuminato le menti di molti cattolici e le hanno consolidate nel bene, nonostante la Conferenza episcopale italiana volesse una legge frutto solo del compromesso tra visione cattolica e visione laica, proposta ben sintetizzata dalle parole del presidente della stessa Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, che nel maggio scorso dichiarò: “Più che affossata, la legge andrebbe corretta”.

La famosa nota verbale consegnata dalla Santa Sede al Governo italiano sui rischi che il Ddl Zan non rispettasse gli accordi del Concordato, seppur lodevole, si inserisce però in questa strategia minimalista dei vertici della Chiesa italiana. Strategia invece, come ricordavamo, non sposata da una certa fetta di associazionismo cattolico, lo stesso che, si spera, ingaggerà battaglia contro il referendum dei radicali sull’eutanasia.