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Verità vs compromesso

Ddl suicidio, un dialogo immaginario per non dimenticare la storia

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Due reduci del fronte in difesa della vita, già sostenitori negli anni Settanta della legge 194 per “limitare i danni”, si incontrano prima del Direttivo che deve decidere quale linea tenere sul suicidio assistito. Che cosa potrebbero dirsi? Immaginiamo il loro dialogo, con dati storici.

Vita e bioetica 25_07_2025
Manifestazione pro-aborto

Come capitava spesso, arrivarono loro due per primi alla riunione del Direttivo. Forse perché, essendo i più anziani, erano ormai liberi da vincoli di lavoro e familiari; o forse perché, essendo gli ultimi testimoni degli albori del fronte in difesa della vita, sentivano anche per quelle riunioni di routine un’urgenza difficile da comprendere per gli altri.

«Hai sentito l’ultima di Principi Verità & Fedeltà?»

«Non sono sicuro di volerlo sapere… Non discuto le loro buone intenzioni, ma sono degli intransigenti, e alla fine fanno più danno che altro».

«Beh, questa la devi sentire, perché in un certo modo riguarda anche te e me».

«Accuse personali? Non posso crederci, finora non erano arrivati a tanto».

«Niente di personale. Però hanno nuovamente tirato fuori la legge 194 e come si arrivò alla sua approvazione».

«Con tutto quello che sta succedendo ora, con i rischi che corriamo adesso, stanno ancora a occuparsi di storia? Lasciali perdere».

«Sostengono che quella storia dovrebbe suggerirci come agire adesso».

«Sono giovani e pretendono di spiegare a noi come andarono le cose? E magari pretendono di dire come sarebbero potute andare?».

«Più o meno è così. Dicono che ci si sarebbe dovuti opporre».

«Ma Militanti per i Valori si oppose! Siamo sempre stati fermamente contrari all’aborto!».

«Il loro esponente di punta per i temi di bioetica dice che non basta una pubblica, ferma condanna dell’aborto. Per lui non si sarebbe dovuta accettare nessuna collaborazione a livello politico e parlamentare, neanche per limitare i danni. Si sarebbe dovuto continuare a mobilitare il popolo a favore della vita, continuando a rivendicare che l’aborto è un abominevole delitto e che qualsiasi legge che lo avesse reso legale sarebbe stata non solo inaccettabile da un punto di vista morale ma anche incompatibile con la Costituzione. La legge abortista sarebbe stata una responsabilità morale dei soli abortisti».

Un’ondata di ricordi li fece rimanere in silenzio per un po’. Tornarono loro in mente i dibattiti, gli incontri pubblici disturbati da quelli che allora si facevano chiamare “autonomi”, l’ostilità della grande stampa e la difficoltà di tenere presenti nell’opinione pubblica gli argomenti di chi era contrario all’aborto. Una battaglia che li aveva profondamente coinvolti nel pieno della vita, una battaglia in cui come minoranza avevano lottato con tutte le loro forze per ottenere tutto il bene possibile, in una situazione difficilissima.

«Non sanno quello che dicono. È facile dirlo adesso, dopo tanti anni, e senza avere conosciuto il contesto nel quale agivamo. C’era stata la sentenza della Corte Costituzionale n. 27 del 1975 che aveva di fatto aperto un varco ad una legittimazione dell’aborto oltre il caso di rischio immediato per la vita della madre, cioè in caso di possibili rischi per la sua “salute”. E ricordi bene come il concetto di “rischio” fu subito usato come un’arma per sdoganare l’aborto».

«E anche il concetto di “salute”! La stessa Corte Costituzionale si affrettò ad accettare la definizione di salute come “benessere fisico ed equilibrio psichico” proposta dai ricorrenti! Parole che avrebbero giustificato qualsiasi abuso».

«Come dimostrò quanto successe un anno e mezzo più tardi, a seguito del caso dell’inquinamento da diossina provocato dall’incidente di Seveso. La sentenza della Corte Costituzionale diede di fatto una copertura giuridica all’autorizzazione degli aborti definiti ipocritamente “terapeutici”, giustificati dalle possibili malformazioni dei bambini le cui mamme erano state esposte alla nube tossica. Bambini che i laboratori di Lubecca che fecero le analisi mostrarono essere tutti sani. Ma era chiaro che, se non si fosse fatto qualcosa, la deriva non avrebbe potuto che peggiorare. Il governo era a guida democristiana, ma in quel clima politico avvelenato la minoranza avrebbe senz’altro fatto arrivare in aula proposte di legge per rendere l’aborto un diritto. E con la pressione massmediatica di allora, con il mondo della cultura tutto schierato con un’antropologia iperindividualista, chissà che cosa sarebbe potuto venir fuori!».

«Non fu una decisione facile, ma era necessario, da posizioni chiaramente contrarie all’aborto, cercare di limitare i danni, orientando i lavori verso un testo che circoscrivesse l’aborto rendendolo una extrema ratio».

«È stata dura, ma siamo addirittura riusciti a fare approvare una legge che riconosce nel titolo “la tutela sociale della maternità” e che recita: “Lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio”! Una legge che dispone che la donna che affronta una gravidanza difficile ha diritto ad essere assistita, ha diritto ad “interventi che contribuiscano a superare le cause che potrebbero indurla ad abortire”! Autorevoli giuristi hanno sostenuto che la 194 non definisce, di fatto, un vero “diritto di aborto”. Semmai abbiamo fatto scrivere nero su bianco il diritto sostanziale, non solo formale, delle donne a non scegliere l’aborto».

«Anche se poi, purtroppo, la prima parte della legge 194 non è stata mai applicata…».

La voce del suo interlocutore era piena di amarezza. Capiva e condivideva la sua frustrazione. Nei decenni, di fronte alla progressiva accettazione sociale dell’aborto, dopo circa 6 milioni di bambini a cui era stato impedito di nascere, nonostante tante vuote parole dei politici per i “diritti delle donne”, nessun governo e nessuno schieramento aveva mai fatto niente affinché i primi tre articoli della legge 194 non restassero lettera morta. E di fatto l’aborto era stato consentito tutte le volte che le donne non volevano il bambino, anche quando la loro salute non correva alcun rischio. La politica li aveva traditi, su questo non c’era dubbio.

«La responsabilità di questo tradimento è di chi avrebbe dovuto applicare la legge e non l’ha fatto. Facemmo la nostra parte allora e il nostro movimento ha sempre aiutato le donne in difficoltà, fino a dove ha potuto, con il volontariato».

«Dicono che avremmo potuto farlo comunque, che le donne in difficoltà andrebbero aiutate anche se per ipotesi l’aborto tornasse ad essere vietato. Come fece il Movimento per la Vita, che all’epoca si arroccò su una opposizione di principio alla legge, arrivando a promuovere un referendum per abrogarla».

«Con i risultati che abbiamo visto! Un referendum perso, che ha solo inasprito lo scontro e ha reso impossibile il dialogo con i più moderati del fronte avverso. Un dialogo che forse, col tempo, ci avrebbe consentito di superare i preconcetti, di costruire pazientemente il bene nelle scelte pubbliche. E magari di fare applicare la prima parte della legge, di rendere l’aborto non più una scelta necessaria…».

«Vollero il referendum per non trovarsi a difendere la legge 194 dagli effetti del referendum di segno contrario promosso dai radicali, che mirava ad allargare le maglie e rendere ancora più facile l’aborto».

«Il che dimostra solo il loro fondamentalismo. La legge 194 era una buona legge, è ancora la migliore legge possibile. Questa loro insistenza a criticarla fa solo rischiare che si creino nuove maggioranze trasversali che puntino a renderla ancora più radicale. E con l’aria che tira, chissà che non succeda davvero».

Gli altri membri del Direttivo cominciavano ad arrivare alla spicciolata, così non fu più possibile continuare la conversazione. Nella luce soffusa della sala riunioni, nella cordiale atmosfera tipica di un incontro tra persone che si conoscono bene e condividono una battaglia, rimasero entrambi un po’ ai margini, forse pensando con malinconia che tanti di coloro che avevano condiviso il loro impegno non c’erano più.

Questi giovani che adesso prendevano il testimone, che direzione avrebbero preso? Come avrebbero affrontato questo nuovo attacco contro la vita, il tentativo in atto di rendere legale il suicidio assistito? Suicidio assistito! L’ennesimo neologismo per nascondere il vero obiettivo: la legalizzazione dell’eutanasia. Proprio come nel 1978 si era trasformato l’aborto in “interruzione volontaria della gravidanza”.

Cosa si sarebbe dovuto fare per evitare che ancora una volta i più fragili fossero colpiti dall’egoismo e dall’abbandono? Prendendo il loro posto al tavolo, mentre la riunione iniziava, non erano sicuri di avere una risposta.



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