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Cristiani perseguitati dall'Islam in Francia. Il caso Sarnaya

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L’assassinio di Ashur Sarnaya, cristiano iraqeno ucciso il 10 settembre a Lione presumibilmente da fondamentalisti islamici, è l’ultimo episodio in ordine di tempo di un fenomeno in preoccupante crescita: la violenza islamista contro le minoranze religiose al di fuori del mondo islamico.

Libertà religiosa 23_09_2025

L’assassinio di Ashur Sarnaya, cristiano iraqeno ucciso il 10 settembre a Lione presumibilmente da fondamentalisti islamici, è l’ultimo episodio in ordine di tempo di un fenomeno in preoccupante crescita: la violenza islamista contro le minoranze religiose al di fuori del mondo islamico,  operata  nei Paesi in cui i membri delle minoranze trovano tradizionalmente rifugio dalla stessa persecuzione fondamentalista. Sarnaya, quarantacinquenne  cristiano assiro-caldeo originario di Ankawa nel Kurdistan iraqeno, aveva raggiunto la Francia assieme alla sorella nel 2014 in seguito all’invasione dell’area da parte dello Stato Islamico, e due anni dopo vi aveva ricevuto lo status di rifugiato. Disabile, Sarnaya si spostava su una sedia a rotelle ed era conosciuto da tutti nel suo quartiere. Particolare raccapricciante, è stato ucciso sotto casa con un colpo di machete alla gola durante una live su tiktok: amava infatti parlare di fede cristiana ai suoi followers e lo faceva abitualmente.

«Ha trascorso i suoi ultimi istanti a fare esattamente ciò che amava: diffondere il Vangelo. Secondo me, è un martire e la sua fede sarà sempre di ispirazione», ha scritto, a quanto si apprende, la cugina su Facebook.

Il caso ha scosso la Francia e fornito alla destra, Marine Le Pen su X in testa, un ulteriore argomento, indubbiamente ben fondato, contro i guasti dell’immigrazione indiscriminata. C’è chi, e siamo in Italia, ha definito Sarnaya una sorta di Charlie Kirk di serie B, un portavoce di istanze identitarie che ha pagato con la vita le sue idee alla stregua del più noto attivista americano.

Al di là delle semplificazioni, il quadro è complesso e necessita di analisi approfondita. Condannando «l’assassinio di un cristiano iraqeno vulnerabile» L'Oeuvre d'Orient, associazione francese a difesa dei cristiani orientali, ha sottolineato come sia «indispensabile che i cristiani del medioriente possano testimoniare la loro fede in tutta sicurezza e vivere degnamente». Quanto è realistico, però, che i cristiani d’Oriente possano testimoniare liberamente la fede, sia nei Paesi d’origine che in Occidente, dove sono costretti a rifugiarsi a causa dell’intolleranza dell’estremismo islamico?

Prendiamo il caso dell’Iraq, Paese a maggioranza islamica sciita che la famiglia Sarnaya ha lasciato nel 2014, quando l’ISIS raggiunse la regione del Kurdistan dopo aver invaso Mosul e la piana di Ninive. In quella circostanza la migrazione forzata a cui sono state costrette larghe fasce della popolazione iraqena ha interessato in primo luogo le minoranze religiose, cristiani in testa. Secondo il Report 2024 di Hammurabi Human Rights Organization, organizzazione iraqena che si occupa di minoranze religiose, a quasi dieci anni dalla cacciata dell’Isis, avvenuta nel 2017, l’Iraq non è diventato un Paese ospitale per i cristiani, che vi abitano da tempo immemore assieme a yazidi, zoroastriani, mandei, shabak.

Secondo il Report i piani del governo per incentivare il rientro in patria dei rifugiati della grande emigrazione del 2014, in particolare yazidi e cristiani, sono di fatto lettera morta. Nei villaggi aggrediti dall’ISIS le infrastrutture non sono state ricostruite, mentre le proprietà private, abitazioni, negozi, uffici, sono state vandalizzate, distrutte o occupate con la violenza. Le principali minoranze religiose, inoltre, si concentrano tradizionalmente nelle zone a cavallo tra il territorio iraqeno controllato dal governo e lo Stato autonomo del Kurdistan, cosa che le espone a continue tensioni e scontri occasionali. Politicamente, la rappresentanza delle minoranze in Parlamento è residuale e non consente lo studio di leggi che tutelino la liberta’ religiosa, prevista dalla Costituzione ma in realtà molto fragile. Culturalmente, infine, le minoranze sono marginalizzate dallo Stato ed è raro che possano esprimere intellettuali, scienziati, professori universitari, dirigenti.

In un simile scenario il rientro degli emigrati del 2014 in Iraq è comprensibilmente irrealistico; più difficile è comprendere come sia possibile che la persecuzione religiosa patita in patria dai cristiani iraqeni e mediorientali in genere si ripeta in Occidente. Due fenomeni relativamente recenti possono contribuire a illuminare un quadro tanto paradossale quanto preoccupante: la radicalizzazione dell’Islam sunnita in mediorente e Africa Sub-sahariana e la sostituzione della fede e della pratica religiosa tradizionali con la cultura woke in Occidente. 

Paesi quali Siria, Libano, Nigeria, Congo stanno vivendo un revival di estremismo islamico altamente contagioso che, venendo in contatto con un tessuto sociale non più cristiano, bensì impregnato di politicamente corretto, è libero di sprigionare il suo potenziale di odio e violenza contro chi ancora pratica la fede dei padri. Il prevedibile collante dei due fenomeni è una politica migratoria, come quella europea, incapace di discernere i bisogni, le intenzioni, i valori di chi tenta la fortuna nel Vecchio Continente. Così accade che a Parigi i rifugiati siriani fuggiti dal regime jihadista di al Sharaa vengano minacciati di morte dai “nuovi francesi” salafiti, e che a Lione l’estremismo islamico sopprima chi desidera praticare liberamente e pacificamente la propria fede cristiana.