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«METODO CROCETTA»

Così la macchina del fango è diventata un Espresso

Lo scoop è falso e la telefonata non c’è mai stata. Così la procura di Palermo ha indagato i due giornalisti dell’Espresso autori dell’articolo sulla presunta intercettazione, dove si diceva l’assessore alla Salute Lucia Borsellino doveva «esser fatta fuori come il padre». Ecco chi manovra la "macchina del fango".

Politica 29_07_2015
La coperrina dell'Espresso dedicata alla macchina del fango

Ma bravi, per anni hanno rotto le scatole all’Italia intera con indignate condanne, pipponi morali e quintali di vesti stracciate tanto da riempire una nave container.  Contro il “metodo Boffo” e la “macchina del fango”. E adesso che le procure palermitane (quattro) li hanno svergognati e indagati in nome del popolo italiano per diffamazione e diffusione di notizie false e farlocche, cosa mai ci rifileranno per salvarsi la reputazione di scribi incorrotti e immacolati? Oramai non ci sono più dubbi: il caso Crocetta-Borsellino è uno scoop-patacca e la telefonata dove si ordinava che la figlia del giudice assassinato dalla mafia venisse eliminata come il padre è solo il frutto della fantasia diffamatoria e fangosa dei due giornalisti dell’Espresso: Piero Messina e Maurizio Zoppi. Figura barbina e da barboni per il settimanale della sinistra sciccosa e giustiziera. 

La “Macchina del fango”, scrive Wikipedia (l’enciclopedia più consultata dai giornalisti prêt-à-porter) «è una locuzione diffusasi nel linguaggio giornalistico e politico per la sua potenza evocativa nell'indicare l'azione coordinata di un gruppo di pressione, volta a delegittimare o ledere l'onore e la credibilità di una persona giudicata avversaria (di un gruppo politico o di una qualsiasi altra lobby) ovvero infamarne l'immagine allo scopo di intimidirla, punirla o condizionarla». Locuzione che porta il copyright del quotidiano Repubblica e del settimanale suo gemello L’Espresso per spiegare il “metodo Boffo”, altra espressione rese celebre dalla coppia di carta per indicare come venne fatto fuori l’ex direttore di Avvenire, dimissionato nel settembre del 2009 dopo una violenta campagna di stampa dei quotidiani Giornale e Libero. Da allora, Repubblica ed Espresso non hanno smesso un secondo nell’attaccare i metodi barbari e le falsità della stampa di destra, quella asservita agli interessi del fu Cavaliere Silvio Berlusconi da Arcore. Sei anni passati furiosamente a denunciare complotti, dossieraggi e campagne diffamatorie mirati a colpire i nemici del potere berlusconiano. Anche se nel frattempo, il Cavaliere era stato cacciato da Palazzo Chigi e messo ai domiciliari nella prigione dorata di Arcore.

Lo scorso gennaio, L’Espresso dedicò tutta la sua copertina a spiegare i meccanismi perversi dell’immonda macchina  berlusconiana della palta. Lo fece in occasione dell’uscita di Numero Zero, ultimo romanzo di Umberto Eco, guru della sinistra con il cervello e illustre intellò del settimanale. In realtà, il libro è un mediocre raccontino ambientato nella redazione di un giornale (quello del fratello del Cav) pronto a tutto, «tra ricatti, falsità e misteri di un Paese dalla fragile democrazia». Sulla cover, il faccione barbuto di Eco e la testa pelata di Roberto Saviano, altro profeta prezzemolo, buono per cucinare ogni pietanza ma soprattutto ogni scemenza di cui la sinistra mediatica va ghiotta. Ecco qualche perla di saggezza che i due fanta-maestri ci regalarono. Saviano: «Lo sai, Umberto: la macchina del fango scatta ogni volta che potenti interessi costituiti, più o meno legali, si sentono minacciati». Eco: Oh yes, caro mio. «Tutta la nostra politica è ormai su questo piano. Il comandamento è: bisogna distruggere, delegittimare, sputtanare. E la stampa spesso corre dietro a queste cose». Saviano: «É così, si attiva una macchina fatta di dossier, di giornalisti conniventi, di politici faccendieri che cercano attraverso media e ricatti di delegittimare gli avversari. Spesso si giustificano con la scusa dell'inchiesta, ma poi si fa solo gossip». Eco: «Certo Roby, mi hai davvero tolto le parole di bocca. Prendi la mattina il giornale, anche il più importante, e trovi quattro o più pagine di pettegolezzi su fatti politici nostrani. Se prendi Le Monde, trovi invece pagine su quanto avviene in Africa o in Asia, tanto che quasi mi chiedo, ma perché mi parlano di queste cose e non dell’amante di Hollande?». 

Già, pure noi allora ci chiedevamo se Umbert e Roby non stessero parlando dei loro due datori di lavoroRepubblica e L’Espresso. Forse no, ma sapevano bene come andavano le cose nelle loro redazioni. Comunque, Le Monde non avrebbe certo messo due reporter falsari a fare una vera inchiesta sugli scandali amministrativi del governatore Crocetta. Che adesso può ben gridare al complotto e vendetta politica affidata a killer di carta mossi da livore personale. Fu il governatore, infatti, a licenziare uno dei due giornalisti inventori della falsa telefonata sulla Borsellino: Piero Messina che prima di approdare all’Espresso sonnecchiava nel faraonico ufficio stampa della Regione Sicilia. Errore da dilettanti fidarsi di lui, ma ancora più stupido continuare a difenderlo affermando, come ha scritto il direttore dell’Espresso, che in verità la telefonata non c’è, ma è stata raccontata da una gola profonda. Risultato: il giornalista s’è pure beccato l’accusa di diffamazione e calunnia. Vabbè, che volete: nessuno è perfetto e anche la più efficiente “macchina del falso” a volte si inceppa e spara fango dalla parte sbagliata fino a sommergere il manovratore.