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CONTRO TRUMP

Corea: la guerra (im)possibile

Nel suo discorso muscolare alle Nazioni Unite, Trump ha definito “rocket man in missione suicida” il nordcoreano Kim Jong-un minacciando di ''distruggere interamente la Corea del Nord". Ma forse finge di non sapere che una guerra in Corea comporta un costo inaccettabile.

Esteri 21_09_2017
Kim Jong un

Donald Trump ha pronunciato alle Nazioni Unite un discorso muscolare diretto verso i tanti nemici degli USA ma senza esprimere nessuna reale strategia di contrasto né promuovere soluzioni alle crisi in atto.

Un discorso deludente che conferma i dubbi, già emersi con l’Amministrazione Obama, che da tempo concernono il ruolo degli USA nello scacchiere mondiale.

Il presidente americano non ha espresso concetti nuovi ma ha tirato fuori dalla cantina di George W. Bush il famigerato “Asse del Male”, entità malefica in cui dopo l’11/9 la Casa Biana relegò gli “Stati canaglia”, paesi responsabili di aiutare i terroristi e di produrre armi di distruzione di massa.

Ieri c’erano Iran, Corea del Nord, Iraq, Siria e Afghanistan talebano mentre oggi il nuovo asse include Corea del Nord, Venezuela, Iran, Siria, al-Qaeda, Hezbollah, Stato islamico e Talebani.

Una lista di “cattivi” che Trump ha minacciato duramente ma vale la pena evidenziare che se Corea del Nord e Iran non hanno fatto la fine dei regimi in Iraq, Afghanistan e Libia lo devono probabilmente solo alla disponibilità di ami nucleari, chimiche e missili balistici mentre la Siria è stata salvata dal tracollo contro le forze jihadiste da iraniani e russi. Anzi, Pyongyang e Teheran hanno avuto strette collaborazioni nel settore missilistico e oggi gran parte delle armi iraniane derivare da Nodong e Taepodong nordcoreani: una cooperazione che ha riguardato anche il settore nucleare prima dello stop di Teheran in base agli accordi firmati con la comunità internazionali nel 2015 e che Trump vorrebbe abrogare unilateralmente nonostante tutti i rapporti internazionali confermino che l’Iran rispetta alla lettera tutti gli impegni assunti.

Trump ha definito “rocket man in missione suicida” il nordcoreano Kim Jong-un minacciando di ''distruggere interamente la Corea del Nord" ma finge di non sapere che le opzioni militari in questa crisi sono tutte catastrofiche. Un attacco nordcoreano contro Guam, Seul o Tokyo comporterebbe la totale devastazione del regno di Kim ma è altrettanto vero che un attacco preventivo statunitense non impedirebbe a Pyongyang colpire quanto meno Seul con l’artiglieria schierata con munizioni chimiche in caverne lungo il confine del 38° parallelo.

Inoltre i sistemi di difesa antimissile schierati da Usa, Corea del Sud e Giappone in mare e su basi terrestri  non garantiscono di poter intercettare tutti i circa mille missili balistici nordcoreani che verrebbero presumibilmente lanciati a ondate proprio per saturare i sistemi di difesa.

Questa crisi può quindi avere solo sbocchi negoziali, il limite di Trump è non avere aperto a questa possibilità tenuto conto che l’arsenale nordcoreano serve a esprimere deterrenza e non è un caso che Pyongyang abbia accelerato i programmi atomico e missilistico a partire dal 2002, dopo la definizione di “Asse del Male”, coniata da Bush.

Che dire poi delle contraddittorie affermazioni di Trump circa la lotta al terrorismo? Il presidente accusa di terrorismo l’Iran, che certo aiuta Hezbollah ma è il più acerrimo avversario di Stato Islamico e al-Qaeda al punto che furono i pasdaran di Teheran (non i marines) a impedire all’Isis di prendere Baghdad nell’estate 2014.

Le critiche americane suonano anche un po’ imbarazzanti tenuto conto che gli Usa sono i più stretti alleati delle monarchie sunnite del Golfo che da sempre sostengono il jihadismo sunnita. Inoltre Hezbollah combatte in Siria al fianco di Assad contro al-Qaeda, Stato Islamico e altre milizie jihadiste armate da Usa e monarchie arabe del Golfo. Se guardiamo al conflitto siriano, quasi tutti i suoi protagonisti sui due lati della barricata rientrano nel nuovo Asse del Male.

Trump prende di mira anche la “dittatura socialista” del Venezuela e allarga gli orizzonti di un confronto potenzialmente militare in modo confuso, ambiguo, rafforzando la convinzione che la priorità di Washington oggi sia solo di esportare non più la democrazia ma la destabilizzazione in tutte le aree critiche del pianeta.