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CONTINENTE NERO

Congo, la malattia "ignota" che la sanità locale non diagnostica

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Una malattia senza nome si diffonde nel Congo. Le autorità sanitarie congolesi non l'hanno scoperta e diagnosticata, perché parte da zone remote e prive di strutture. E perché fa vittime nell'ordine delle decine, dunque, in Africa, non suscita allarme.

Vita e bioetica 10_12_2024
Congo, ospedale (La Presse)

Non ha ancora un nome la malattia che da novembre ha ucciso alcune decine di persone, bambini e giovani soprattutto, a Panzi, un’area rurale di Kwango, provincia sud occidentale della Repubblica democratica del Congo. I sintomi sono quelli dell’influenza: febbre, mal di testa, raffreddore, tosse, difficoltà respiratorie. Secondo un parlamentare rappresentante del territorio le vittime sarebbero 67. Altre autorità locali intervistate dall’agenzia di stampa Reuters hanno portato i decessi a circa 143. Il ministero della sanità congolese dapprima ha dichiarato che finora sono state contagiate poco più di 300 persone e che 79 sono morte. Poi ha rettificato dicendo che i contagi sono 382 e i morti, registrati in 27 diversi presidi sanitari, sono 27 mentre gli altri decessi in tutto 44, verificatisi in alcuni villaggi, non è detto che siano da attribuirsi alla stessa malattia, almeno stando ai sintomi. In realtà nessuno è in grado di fornire dati esatti perché ancora non c’è stato modo di eseguire dei veri e propri accertamenti.

Alcune certezze tuttavia ci sono. La prima è che non si tratta di un “malattia misteriosa”, di un “virus misterioso”, di una “epidemia misteriosa”, come scrivono molti mass media, e neanche di una malattia “sconosciuta”, se non nel senso che le autorità sanitarie congolesi non sono state in grado di diagnosticarla o, meglio ancora, non si sono preoccupate di farlo finché la notizia non si è diffusa e, lanciata a livello internazionale, ha suscitato allarme. Perché non lo abbiano fatto può dipendere da diversi motivi. Il primo è che il servizio sanitario congolese è, per colpevole negligenza, pessimo. Intere regioni remote, poco abitate e di difficile accesso per carenza di infrastrutture, inesistenti o prive di manutenzione, dispongono di rari presidi sanitari e gli abitanti sono fortunati se possono contare sulla vicinanza di ospedali, ambulatori, dispensari gestiti da missionari e da organizzazioni non governative a cui rivolgersi dove trovano assistenza, di buon livello e solerte, se necessario anche gratuitamente. Panzi è uno di questi vasti territori trascurati.

Ma può darsi che la negligenza dipenda anche dal fatto che qualche decina di morti, qualche centinaio di contagi e un tasso di letalità circa dell’8%, forse, non costituiscono in Congo, e in Africa in generale, motivo di emergenza sanitaria. Per rendere l’idea, nel 2022 in Congo sono stati registrati circa 30 milioni di casi di malaria e oltre 70mila decessi. Nello stesso anno, più di 148mila bambini si sono ammalati di morbillo e almeno 1.800 ne sono morti. Il Congo è anche il paese in cui ha avuto inizio l’epidemia di mpox, il vaiolo delle scimmie che secondo l’Oms non si può più chiamare così perché il termine ha “sfumature razziste”. Dal gennaio del 2023 a oggi i casi sono stati oltre 27mila e almeno 1.100 i morti (e solo a novembre è iniziata la vaccinazione degli adulti, mentre quella dei bambini, i soggetti più esposti, è rimandata in attesa dei vaccini specifici).

Un’altra certezza è che le persone sospettate di aver contratto la malattia non vengono curate. «Panzi è una zona sanitaria rurale – ha spiegato ai giornalisti della Bbc Cephorien Manzanza, un esponente della società civile – e quindi ci sono problemi con la fornitura di medicinali. All’ospedale di Panzi i medicinali scarseggiano». Ma, posto che i medici sappiano che terapie adottare, la maggior parte degli ammalati neanche arrivano in ospedale. «I malati sono morti a casa loro, per mancanza di cure» ammettono sia Remy Saki, vicegovernatore della provincia di Kwango, che Apollinaire Yumba, ministro provinciale della sanità. Forse è questa, la mancanza di cure, la causa prima dei decessi, alla quale, come sempre. si aggiungono debilitazione, malnutrizione, malattie ricorrenti.  

Nei giorni scorsi è intervenuta l’Oms che ha mandato del personale sul posto provvisto di medicinali e soprattutto dei test diagnostici necessari per individuare la causa della malattia. Nel frattempo le autorità congolesi hanno invitato la popolazione a rimanere calma e vigile. Raccomandano di lavare le mani con sapone, di evitare per quanto possibile gli assembramenti e di non toccare i cadaveri se non in presenza di personale sanitario qualificato. Quanto meno, l’isolamento della zona, di difficile accesso, e la scarsa popolazione rendono abbastanza facile circoscrivere la malattia, impedendo che si diffonda nel resto del paese e negli stati vicini, a differenza della mpox di cui in pochi mesi si sono registrati casi in molti altri stati africani inducendo l’Oms a dichiarare lo stato di “emergenza sanitaria di interesse internazionale”.

È fondata speranza che questa volta non si arrivi a tanto. Nella maggior parte dei casi, non infrequenti, la preoccupazione per una malattia sconosciuta comparsa in un paese africano risulta immotivata. In Tanzania, ad esempio, nel marzo del 2023 gli esperti dell’Oms sono stati chiamati a occuparsi di una malattia che stava facendo vittime nel nord ovest del paese e che i medici locali ritenevano avesse insolite e strane caratteristiche. Anche allora il governo invitò la popolazione alla calma e all’adozione di misure atte a contenere il contagio. Risultò poi trattarsi di leptospirosi. Invece l’allarme per la malattia sconosciuta lanciato nel febbraio dello stesso anno in Guinea Equatoriale era fondato. Risultò essere febbre emorragica di Marburg, una malattia simile all’Ebola. Un intervento tempestivo, dopo i primi decessi, ha salvato la Guinea e i paesi vicini.