Conclusioni trasversali sull’antica e la nuova liturgia
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Silenzio, mistero, partecipazione, concelebrazione, adorazione, orientamento, gestualità: tiriamo le somme sui punti di forza e i limiti del rito pre-riforma liturgica e di quello successivo. Che possono migliorarsi vicendevolmente.

Le presenti considerazioni conclusive si situano a livello del Vetus Ordo così come è, a prescindere da che cosa farà Papa Leone XIV e che cosa provocheranno le “scoperte” di Diane Montagna.
Le varie forme della Messa. Stando al Messale 1962, il Vetus Ordo distingue la Messa letta dalla Messa in canto; quest’ultima può essere semplicemente “cantata” (con il solo sacerdote), “solenne” (con l’assistenza di vari ministri), “pontificale” (con un vescovo celebrante) (Rubricae Generales III, 271). Anche il Novus Ordo in OGMR 112ss. enumera diverse forme di Messa con la novità della concelebrazione, assente nel Vetus Ordo, mentre sarebbe opportuna in occasione di raduni numerosi. Non sarà semplice costruire tale rito, comunque il problema c’è.
Il silenzio oggi risulta minimo nella prassi del Novus Ordo nonostante le indicazioni dell’OGMR 45 e spesso la celebrazione è un bombardamento continuo di parole.
Al contrario il Vetus Ordo assicura molti spazi di silenzio mentre il rito continua a svolgersi. Il momento più silenzioso è il canone, pronunciato «secreto dicens / dicendo in segreto». Alcune motivazioni di questo “segreto” non sono più sostenibili. San Tommaso d’Aquino spiega che il canone viene detto in segreto perché «riguarda qualcosa che spetta al solo sacerdote, come l’oblazione e la consacrazione», però annota che il sacerdote prima delle parole in segreto risveglia l’attenzione del popolo con “Il Signore sia con voi” o altre formule e alla fine il popolo interviene con l’assenso dell’Amen (III, q 83, a 4, ad 6um). È noto poi che in antico il canone non era in segreto: Sant’Agostino rivolgendosi ai fedeli dice: «(...) subito dopo (viene) quel che si fa nella santa orazione che voi ascolterete, in cui, mediante la parola, si fa presente il corpo e il sangue di Cristo» (Discorso 229,3) e Giustiniano nella “novella” del 26.03.565 ordinava a vescovi e preti di proclamare il canone «non in secreto, sed cum ea voce quae a fidelissimo populo exaudiatur».
Se oggi nel Vetus Ordo il canone continua in segreto bisogna osservare questo silenzio e non coprirlo di musiche o canti. Ma più decisivo è che di questo segreto non se ne faccia un assoluto mentale perché non risale alla prima tradizione.
Il nodo irrisolto dell’orientamento riguarda sia il Vetus che il Novus Ordo, in quanto entrambi, in modo specularmente opposto, hanno una soluzione assoluta: quasi sempre verso il popolo nel Novus Ordo, quasi mai verso il popolo nel Vetus Ordo.
La questione – posta con forza dal card. Ratzinger in Introduzione allo spirito della liturgia, pp. 70ss. – fu affrontata in modo polemico e contrappositivo, cioè ideologico, mentre in un libro francese già nel 1993 Paul De Clerck, senza mettere in discussione la riforma liturgica, auspicava che per alcune preghiere il presidente e gli altri si rivolgessero verso un polo escatologico o di gloria (ed. italiana: L’intelligenza della liturgia, LEV 1999, pp. 153-156).
Ma anche nel Vetus Ordo non tutto è così fisso come sembrerebbe, perché sarebbe opportuno che le letture fossero rivolte al popolo e nel Messale del 1962 troviamo scritto che «se l’altare è ad oriente, verso il popolo, il celebrante, rivolta la faccia al popolo, non si gira dando le spalle all’altare quando dice Dominus vobiscum, Orate fratres, Ite, missa est o quando deve dare la benedizione» (Ritus servandus... V,3). Vi sono infatti chiese antiche dove l’altare non è contro la parete ed è volto ad oriente e ciò significa di fatto celebrare di fronte al popolo.
Ebbene, questi spunti richiederebbero forse una piccola conversione a entrambi gli Ordines.
Nel Novus Ordo il sacerdote potrebbe rivolgersi ogni tanto verso un polo di gloria e in questa postura proclamare il canone dopo aver spiegato ai fedeli che tutti insieme ci si rivolge verso Cristo glorioso e la Gerusalemme del cielo. Anche solo due o tre volte all’anno, sarebbe una formazione liturgica per i fedeli.
Nel Vetus Ordo si potrebbe celebrare coram populo e con il canone in forma udibile e i tanti segni rituali del celebrante entrerebbero nel cuore degli astanti per rimanervi stabilmente anche quando non saranno visibili.
Inserimento in una realtà pastorale. Giustamente Traditionis custodes richiede che per le celebrazioni del Vetus Ordo il vescovo nomini un sacerdote il quale «abbia a cuore non solo la dignitosa celebrazione della liturgia, ma la cura pastorale e spirituale dei fedeli» (§ 4). Inoltre nel Messale 1962 si richiede una attiva partecipazione dei fedeli (cf. Rubricae Generales... I,272) rimandando a una Istruzione della Sacra Congregazione dei Riti del 3.9.1958, la quale esortava i fedeli a cantare le risposte al sacerdote, l’ordinario della Messa, le parti proprie della Messa.
Tutto questo richiede sforzo e continuità, impossibili con partecipazioni saltuarie o dilazionate. Se il minimo è partecipare alla Messa Vetus Ordo ogni tanto, la normalità è la partecipazione settimanale (in una parrocchia che la preveda alla domenica). L’ottimo è parteciparvi quando è celebrata da comunità religiose o monastiche che abitualmente pregano in Vetus Ordo. Enzo Bianchi – con un coraggio da cuor di leone... XIV – riconosce che «sono comunità vive, piene di zelo» e, se ce n’è una, «occorre che ci sia chi la risvegli, chi la sostenga, chi la indichi come luce che splende su tutti» (VP 2025/07, p. 55). Ad esempio, la Fraternità di San Vincenzo Ferreri a Chémeré-le-Roi in Francia, costituita da ex domenicani e approvata nel 1988 e praticante l’antico rito domenicano, è ricca di iniziative apostoliche anche su internet e addirittura alcune famiglie avrebbero cercato di dimorare vicino per creare come una seconda comunità allargata di laici che vivano in modo diverso lo stesso carisma. Qui non ci si limita all’estetica o al gusto del silenzio, ma c’è un cammino spirituale che ogni celebrazione in Vetus Ordo dovrebbe perseguire.
Il Vetus Ordo, attraverso le parole e la corporeità delle rubriche, ha una sua specificità verso il sacro, il mistero, il santo, l’adorazione.
Appena si nominano parole come sopra, qualcuno insorge e in parte ha ragione, perché è vero che esiste anche un “fumoso” senso del mistero. Tutto sta a non partire da Rudolf Otto († 1937), cercando nel Vetus Ordo il numinoso, che è anche tremendo, misterioso, affascinante. Partiamo invece dalla pesca miracolosa, dopo la quale «Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me perché sono un peccatore”» (Lc 5,8) o da Gesù che mentre benediceva gli apostoli «veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui» (Lc 24,51-52). Ecco il primo atto liturgico dopo l’Ascensione di Gesù: una prostrazione!
Così il Vetus Ordo ispira un particolare “senso del sacro” per l’esigenza che oggi per incontrare Dio è necessario uno spazio, alcuni tempi, alcune parole e gesti separati dal mondo comune. È «una necessità teologica, proveniente dalla convinzione che il mondo così com’è non è nello stato originario voluto da Dio e neppure nello stato definitivo di gloria» (Giacomo Biffi, Il quinto evangelo. ESD, Bologna 2008, p. 78) sino a che non saremo nella Gerusalemme celeste dove non ci sarà più «alcun tempio» (Ap 21,22).
Il Vetus Ordo ispira anche il “senso del mistero”, cioè l’agire salvifico di Dio rivelato dalle parole di Cristo (cf. Mt 13,11) e per mezzo dello Spirito Santo (cf. 1Cor 2,7.10ss.), cioè la volontà di Dio (cf. Ef 1,9). Mistero che è anche conoscenza della vita intima di Dio uno e trino, che è «ineffabile, incomprensibile, invisibile, inafferrabile» (Liturgia di san Giovanni Crisostomo, Anafora: CCC 42) e che non è né assurdo né numinoso, perché è la proiezione infinita di quanto già ora conosciamo con la ragione e con la fede.
Il Vetus Ordo ispira la “santità”, che appartiene solo a Dio, ma è comunicata a noi (cf. 1Pt 1,15-16) da Gesù il Santo di Dio (cf. Mc 1,24; Lc 1,35; Gv 6,69; Ap 3,7), che con il suo sacrificio è entrato nel Santo dei Santi e in lui ci fa entrare nel santuario celeste (cf. Eb 9,3.11-12; 10,19-20).
Il Vetus Ordo pratica l’adorazione, presente nel NT come prostrazione/adorazione negli incontri con il Gesù storico (cf. Mt 8,2; 9,18; 14,33; 15,25; 20,20; Lc 17,16; Gv 9,38) e risorto (cf. Mt 28,9.17; Lc 24,52), nella vita carismatica della comunità (cf. 1Cor 14,25), nella liturgia celeste e dunque in paradiso (cf. Ap 4,10; 5,14; 7,11; 11,16; 14,7; 15,4; 19,4; 22,3).
Ma tutto questo non c’è anche nel Novus Ordo? Sì, c’è, perché anche il Novus Ordo è “la Messa di sempre”.
Tuttavia nel Vetus Ordo c’è qualcosa di più. C’è una riverenza e uno stupore «che scaturisce dal sapersi alla presenza della maestà di Dio», come Mosè ed Elia, «che non osarono guardare Iddio facie ad faciem», sostenuto, come nelle liturgie orientali, da «bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri» (Giovanni Paolo II, 21.9.2001: EV 20/1808).
Ed oltre alle “bellissime preghiere” ci sono le rubriche, molto precise, che modellano la gestualità corporale del sacerdote inducendo in lui un atteggiamento spirituale che passa nei fedeli. Molto più del Novus Ordo, il Vetus Ordo ricorre al linguaggio del corpo, che, essendo espresso dalle rubriche, viene percepito oggi dai più come una camicia di forza, mentre è il modo normale di educare lo spirito del sacerdote e dei fedeli e di meglio far risaltare il sacro, il santo, il mistero, l’adorazione. Ciò che non capita quando gli “oppure” sono troppi.
Ecco la ragione per la quale il Vetus Ordo va mantenuto, anche se praticato da piccoli gruppi, accolti però con attenzione pastorale. La loro presenza induce a salutari riflessioni sul miglioramento del Novus Ordo o almeno su di uno spirito diverso con il quale celebrarlo.
Le chiacchiere del sottoscritto qui finiscono con la liberante citazione dell’Apostolo: «se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo» (Fil 3,15).
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