Coakley a capo dei vescovi USA, effetto Cupich non pervenuto
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Il neo-presidente dell'episcopato americano è più conservatore dei predecessori. Dodici anni di Francesco, che ha favorito l'ascesa dell'arcivescovo liberal di Chicago, hanno penalizzato ma non scalfito la maggioranza wojtylian-ratzingeriana, ancora salda oltreoceano.
Il primo presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti dell'era post-Bergoglio è monsignor Paul Stagg Coakley. Martedì a Baltimora l'arcivescovo di Oklahoma City ha prevalso sul vescovo di Brownsville, monsignor Daniel Ernest Flores nel ballottaggio seguito alle prime due votazioni. Coakley si è affermato con 128 voti contro i 109 di Flores.
Dall'altra parte dell'Atlantico la mano pesante di Francesco non è riuscita a plasmare la maggioranza dell'episcopato statunitense che, al contrario, è rimasta fedele alla linea wojtylian-ratzingeriana. L'elezione di Coakley lo conferma, così come durante il pontificato bergogliano era apparso evidente con le elezioni di Joseph Edward Kurtz, Daniel Di Nardo, José Horacio Gómez e Timothy Broglio. Il nuovo presidente, infatti, forse più dei suoi predecessori può essere tranquillamente annoverato nella categoria dei conservatori.
Nel suo curriculum spicca il ruolo di assistente spirituale del Napa Institute, un'organizzazione cattolica no-profit di orientamento conservatore che spesso è finita nel mirino dei liberal per le sue battaglie in difesa degli insegnamenti di sempre della Chiesa. Da segnalare anche la sua presa di posizione nel 2018 a favore di una maggiore trasparenza da parte del Papa sullo scandalo abusi riguardante l'ex cardinale McCarrick.
I vescovi americani non cambiano direzione rispetto al segnale già inequivocabile mandato a Roma tre anni fa con la scelta di Broglio, ordinario militare e già inviso a Bergoglio ai tempi in cui era il segretario particolare del cardinale Angelo Sodano. La "punizione" del Papa che si diceva onorato di essere attaccato dagli americani è stata quella di non creare cardinale nessun presidente della Conferenza episcopale, dando invece la berretta rossa agli esponenti della minoranza liberal.
In particolare il pontificato bergogliano ha visto lo strapotere del cardinale Blase Joseph Cupich sulle cose d'oltreoceano. Nominandolo tra i membri della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano e difendendolo pubblicamente dalle critiche per aver pensato di premiare il senatore pro-aborto Dick Durbin, Leone XIV ha dimostrato di non voler esautorare del tutto il potente arcivescovo della "sua" Chicago. Ma il voto segreto a Baltimora ha fatto arrivare in Vaticano un messaggio preciso: la maggioranza dei vescovi USA non guarda nella stessa direzione di Cupich ed è infastidita dal suo influsso.
Prevost, che a differenza del predecessore ha fatto capire di voler rispettare i ruoli e non cedere ad invasioni di campo, dovrà prenderne atto. Monsignor Coakley è un conservatore che potrà andare d'accordo col Papa: un difensore delle legislazioni pro-life, fermamente contrario ad aborto e diritti arcobaleno, ma anche ostile alle politiche migratorie dell'amministrazione Trump. Il nuovo presidente potrà raccogliere in eredità l'indicazione data da Leone ai vescovi suoi connazionali lo scorso ottobre, quando aveva detto loro che «la Chiesa non può tacere» di fronte alle deportazioni di migranti irregolari ed aveva invocato una «voce più forte e unita».
Ma per la maggioranza dei vescovi USA non è questa la priorità se nel ballottaggio è uscito sconfitto monsignor Flores, vescovo di frontiera in Texas che aveva incentrato la sua candidatura proprio sull'impegno contro il governo per la difesa della dignità dei migranti. L'episcopato a stelle e strisce ha preferito non amplificare lo scontro con l'amministrazione repubblicana, preferendo un approccio più conciliante considerato che il nuovo presidente ha già detto di voler costruire un rapporto con il numero due della Casa Bianca, il cattolico JD Vance.
Peraltro, Flores era stato anche l'uomo della sua Conferenza episcopale al discusso Sinodo sulla sinodalità che non ha entusiasmato gli animi dei presuli USA. Sconfitto dal conservatore Coakley, ne esce comunque da vicepresidente e potrà ambire alla successione come è consuetudine nell'episcopato USA. Ma nelle prime votazioni si segnala anche l'ottimo risultato di uno dei vescovi più conosciuti ed apprezzati d'America: monsignor Robert Barron. Il vescovo di Winona-Rochester è stato il terzo più votato nelle prime votazioni, dietro a Coakley e Flores. In futuro, la continuità potrebbe avere il suo nome anziché quello del nuovo vicepresidente.
I vescovi Usa preferiscono Broglio a Bergoglio
Ordinario militare e attivissimo pro-life, il neopresidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti ha un profilo molto distante rispetto a quelli voluti dal Santo Padre per ridefinire il volto della Chiesa americana in senso meno "muscolare" rispetto all'era wojtyliana. Ma l'ala liberal dell'episcopato si mostra debole anche alle urne.
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