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STORIE DI VITA

Claudia, un figlio e due aborti. Ma la speranza vive

Con donne come Claudia, un figlio, due aborti e un'altro figlio in arrivo, non ci sono discorsi o raccomandazioni che tengano. Solo un abbraccio e un'offerta concreta di amicizia possono restituire speranza e coraggio di vivere.

Editoriali 12_07_2014
Mamma

Nell’antica medicina cinese si dice che, in un’unica giornata, sia salutare provare tutta la gamma delle emozioni, dalla serenità alla rabbia. Bene, se questo è vero, credo di aver ottemperato al principio enunciato in modo quasi assoluto, nel colloquio di ieri con Claudia, una vecchia conoscenza!

Si è presentata, infatti, al nostro Centro di Aiuto alla Vita dell’ospedale Mangiagalli di Milano circa dieci anni fa. Era incinta per la seconda volta ma la prima gravidanza era stata interrotta volontariamente. Compiva ventidue anni, allora, e, oltre agli aiuti economici, aveva un grande bisogno di elaborare il lutto procuratosi con l’aborto. Ho ancora nitide nella mente e nel cuore le sue parole di quel tempo: “Voglio il mio bambino. Quello che ho abortito. Sono ancora gravida, ma la mia pancia è come se stesse rientrando invece che venire verso l’esterno. Mi sento vuota, anzi svuotata, e non riesco a pensare a un bambino nuovo”.

Naturalmente il suo compagno, Giovanni, le aveva ripetuto la solita frase: “Decidi tu. Io sono giovane e tu non mi puoi obbligare a fare il padre. Veditela tu!”. Nulla di nuovo! Queste parole le sentiamo frequentemente e di certo provocano una grande sofferenza. Ho incontrato Claudia con cadenza settimanale e, finalmente, è nato Luca per il quale abbiamo provveduto perché avesse tutto il necessario. Giovanni, intanto, si era trovato un’altra donna, lavorava a singhiozzo, non si occupava né di Claudia né di Luca.

Quando si è potuto inserire Luca all’asilo nido, Claudia ha recuperato un lavoro per mezza giornata; continuava anche a venire alle sedute con me e io cercavo di aiutarla a tollerare il tradimento di Giovanni e la perdita del suo primo figlio. Di mano in mano, il percorso si è diradato ma non così il nostro aiuto. Siamo anche arrivati a offrirle un lavoro di qualche ora al nostro Centro per permetterle di continuare a mantenersi. Insisteva a voler bene a Giovanni e a sperare di ricomporre la sua famiglia. Lui, ogni tanto, tornava riaccendendo le sue speranze e le delusioni conseguenti. Per Luca era arrivato il tempo della scuola materna, Claudia si barcamenava con i suoi lavori, il desiderio di Giovanni non si spegneva.

Le cose sono andate avanti così per un certo tempo: ormai sapevo di lei solo per il lavoro svolto presso la nostra sede che, a un certo punto, ha anche lasciato. Con una punta di preoccupazione, a volte pensavo a lei tentando di convincermi, puntualmente, che tutto andasse bene e che fosse riuscita a conquistarsi una sua autonomia. Luca frequentava la prima elementare quando Claudia si è rifatta viva. Nel momento stesso dell’incontro sulla porta, è scoppiata in lacrime. Irrefrenabili, urgenti, copiose, quelle lacrime! E’ stato necessario del tempo perché riuscisse a dirne il motivo: tutto era ricominciato con Giovanni, terza gravidanza compresa.

Che cosa ne era stato? Inevitabilmente la paura, la relazione di coppia instabile, il tirarsi indietro di Giovanni, la sua scarsa maturità, avevano riprodotto la precedente esperienza negativa. Claudia, per un’altra volta, aveva abortito. L’ho vista distrutta! Così, ancora, le siamo stati vicini offrendole la possibilità del piccolo lavoro. Credo di averla incontrata occasionalmente solo un paio di volte; si ritraeva e non ho mai insistito per parlarle. Due giorni fa, ecco la chiamata: “Posso parlarne solo con lei; la nostra famiglia si è ricomposta ma il lavoro è scarso. Abbiamo deciso di spendere solo duecento euro ogni mese il vitto. Meno male che Luca mangia a scuola! Per cena preparo degli abbondanti minestroni e tanta pasta. C’è un grave problema: sono incinta e ho già il certificato per l’interruzione della gravidanza. Vorrei venire a parlare con lei.”

“Claudia, posso dirti che sono sconvolta? Ancora! Faccio fatica a crederci.Vieni domani e, per favore, non fare niente nel frattempo”. Ho dormito poco e male la notte tra martedì e mercoledì e, andando al Centro di Aiuto alla Vita, provavo il grande desiderio di fuggire. E, invece: “Claudia sei arrivata anche un po’ in anticipo.” Si, non ne posso più. Mi vergogno di ritornare sempre nella stessa situazione. Ma, io, che cosa posso fare? – e, prevenendo la mia domanda – Al consultorio familiare mi avevano inserito la spirale. Era passato, però, troppo tempo e il medico aveva deciso di lasciarmi senza per qualche tempo. Così …”.

“Claudia non capisco niente. Vuoi aggiornarmi su quanto accaduto in tutto questo tempo? Vedi, - le dico traendo dalla cartella un borsellino – ogni volta che infilo la mano nella mia borsa e trovo inevitabilmente questo piccolo portamonete, penso a quando me lo hai regalato e mi domando che cosa tu stia combinando”. Si commuove. Poi mi racconta che ora vivono tutti e tre insieme; Luca sta frequentando la quinta elementare, a scuola è bravo, ma mantenerli, i figli, costa tanto. Giovanni lavora per una cooperativa dove non può fare straordinari, non ha giorni di ferie e, se ammalato, non gli viene pagata la giornata.

Ci sono sempre nei colloqui difficili, momenti di silenzio, di sospensione del giudizio, quasi di paura vera. Con Claudia, siamo a questo punto. Stiamo lì, insieme, come a misurare la portata delle cose dette e da dire. “E la tua famiglia?” “Con la mamma è sempre peggio! Si ricorda che per lei esisteva solo mio fratello malato? Ora è morto e lei è come se non potesse provare più nessuna emozione dopo tanto dolore. Mia sorella consiglia di abortire e io ho solo lei per riflettere. Certo che la sofferenza causata dai miei aborti sarà per sempre. Quando, però, nessuno ti dà una mano e tu non sai come andare avanti …”.

Così vengo anche a sapere che due mesi fa hanno acceso un mutuo e per questa operazione si sono dovuti indebitare; Luca diventando grande avrà bisogno di tante cose, cose che Claudia non è sicura di poter avere a disposizione se venisse a mancare la stessa cifra mensile data dal suo lavoro che, probabilmente, perderà se portasse avanti la gravidanza; così, si sente obbligata a interromperla. L’affetto che da tempo mi lega a lei mi ha fatto sentire autorizzata a metterla davanti ai suoi errori e alle sue responsabilità da cui sta rifuggendo, visto che il piccolo bimbo non le ha certamente chiesto di essere messo in viaggio.

L’ho richiamata con forza a cercare un comportamento stabile da un punto di vista affettivo poiché possediamo anche una ragione e non solo emozioni incontrollabili. Lei stava lì, seduta vicina a me come chi non può che abbassare le orecchie e mettere la coda tra le gambe, ripetendo, quasi ossessivamente: “Lei ha ragione, ragione da vendere, ma io che cosa faccio?” “Tu ti metti a fare i conti con me oltre che con la tua coscienza. Ci organizzeremo, sapendo che la vita è tua, perché tu possa avere i denari che guadagni adesso e le cose per il bambino se dovesse nascere”. Mi guarda poi mi abbraccia stringendomi forte: “Lei è la mia mamma. Grazie di esserci.”

Prendendola un po’ in giro, replico: “Guarda che le mamme buone sono quelle che sgridano le figlie un po’ balzane.” “Ho sete. Posso prendere un bicchier d’acqua? Anzi, perché non beve anche lei? Io lo so che non beve mai e questo è male.” A questo punto scoppio in una risata che fa ridere anche Claudia: “Avanti, prendi due bicchieri di carta e facciamo un bel cin cin.” Ci siamo strette in un grande abbraccio facendo sgocciolare un poco del nostro prezioso champagne.