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MINORANZA A RISCHIO

Chi si ricorda degli armeni del Nagorno-Karabakh

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Nel Nagorno Karabakh gli armeni si sono praticamente arresi, se hanno accettato come condizione quella del disarmo. Ora sono una minoranza veramente a rischio. L'Azerbaigian ha esteso la sua rete di interessi nel mondo. Chi difenderà la minoranza cristiana?

Editoriali 22_09_2023
Stepanakert, cittadini armeni in attesa di sviluppi

Il nuovo conflitto nel Nagorno Karabakh è durato meno di 24 ore. Dopo il primo bombardamento di artiglieria, si è giunti al cessate il fuoco. Ma le condizioni accettate per la fine delle ostilità segneranno, molto probabilmente, la fine di ogni speranza di indipendenza degli armeni “di montagna”, della trentennale esperienza democratica della Repubblica di Artsakh. La prima condizione, infatti, prevede il disarmo degli armeni della regione separatista. Di fatto, l’Azerbaigian l’ha già annessa definitivamente.

Le autorità separatiste armene ed inviati del governo di Baku, con la presenza di mediatori russi, si sono incontrati a Yevlakh, non lontano da Stepanakert (capitale del Nagorno Karabakh) per discutere i termini dell’armistizio. Di quello che, a Baku, viene visto senza mezzi termini (e non a torto) come la resa degli armeni dell’Artsakh. Il consigliere del presidente dell’Artsakh, Davit Babayan ha dichiarato che, prima del disarmo, occorrono garanzie solide, “non possiamo lasciare il nostro popolo a morire”. Le autorità azere promettono un “reintegro pacifico” della regione e affermano di avere conti in sospeso solo con la “giunta criminale” al governo del Nagorno Karabakh, ma non con la popolazione.

Le vicende del blocco del corridoio di Lachin negli ultimi otto mesi, tuttavia, dimostrano come questa distinzione sia molto arbitraria. Nel suo posto di blocco, l’esercito azero ha arrestato per “crimini di guerra” cittadini armeni che hanno preso parte alle due guerre armeno-azere, soprattutto quella del 1992-94. In caso di occupazione del territorio, sono molti gli armeni che temono di subire rappresaglie. L’esperienza dei territori armeni occupati dagli azeri, inoltre, dimostra la volontà di cancellare la storia e la cultura armena dal territorio. Come spiegava la scrittrice Antonia Arslan su queste colonne, “Ci sono foto che ci mostrano spianate dove prima sorgevano chiese. E questo avviene in tutti i territori conquistati”, anche dopo la guerra del 2020. Il governo di Erevan rassicura di non veder alcun pericolo per la popolazione locale. Ma non ne sono affatto sicuri i circa 120mila armeni che abitano nel Nagorno-Karabakh, che hanno subito la guerra negli anni Novanta, con i suoi orrendi massacri e hanno rivissuto l’esperienza del 2020, per poi patire la fame negli ultimi otto mesi di embargo totale imposto dall’Azerbaigian.

Ora affollano l’aeroporto di Stepanakert per fuggire. In diecimila sono già in partenza, ma l’Armenia si prepara a riceverli praticamente tutti, a far posto a 40mila famiglie, un esodo.

Una volta che saranno del tutto disarmati, gli armeni del Nagorno Karabakh diventeranno una delle minoranze più a rischio nel mondo. A proteggerli c’era l’Armenia, ma il governo Pashinian, constatando che i rapporti di forza sono cambiati, li ha abbandonati al loro destino: sin da prima della crisi del blocco del corridoio di Lachin (dicembre 2022) ha fatto sapere alla controparte di non opporsi al riconoscimento della sovranità azera sul Nagorno Karabakh. Alle spalle dell’Azerbaigian c’è la Turchia di Erdogan, sempre più assertiva e muscolare, capace di rifornire il Paese con armi e tecnologie militari all’avanguardia, sufficienti a vincere la guerra del 2020. Alle spalle dell’Armenia c’era la Russia, che ora non ha evidentemente più una sufficiente forza deterrente nel Caucaso, avendo impegnato tutte le sue risorse nell’invasione dell’Ucraina.

L’Azerbaigian, ricco di petrolio e gas, ha costruito pazientemente la sua rete di relazioni nel mondo. È partner di Israele, con cui condivide l’inimicizia per l’Iran. È partner dell’Unione Europea, a cui fornisce il gas direttamente con la pipeline del corridoio Sud (in Italia arriva tramite la Tap), che aggira la Russia ed è dunque diventata ancor più strategica dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Anche l’Italia ha rapporti privilegiati con l’Azerbaigian, l’azienda Leonardo ha fornito tecnologie e aerei alle forze armate azere, da anni. La diplomazia italiana segue di conseguenza: allo scoppio di quest’ultima crisi, il ministro degli Esteri Tajani, a New York per l’Assemblea Generale dell’Onu, si è incontrato prima di tutto con il suo omologo azero Jeyhun Bayramov. Gli armeni sono cristiani, gli azeri a maggioranza musulmana sciita, ma il Vaticano è comunque molto grato a Baku, per il finanziamento (da parte della fondazione del presidente Aliyev) del restauro dei sarcofagi di San Sebastiano, delle catacombe dei santi Pietro e Marcellino, oltre che di quello delle catacombe di Commodilla.

Se gli armeni del Nagorno Karabakh dovessero subire, come temono, una nuova pulizia etnica, se le loro chiese e i loro monumenti storici dovessero essere distrutti, quanti sarebbero disposti a fermare la mano dell’aggressore? Mentre l’Azerbaigian bombardava, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si era riunita proprio in quel giorno, non ha dedicato alla vicenda più di qualche dichiarazione di rito, più che di condanna, di auspicio del cessate il fuoco. Così, in sordina, è finita la storia degli armeni del Nagorno Karabakh, dopo trent’anni di resistenza. Ora sono veramente a rischio, in quanto cristiani in terra musulmana e armeni in terra azera.