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LA MOSTRA

Carrà, sulla soglia del Mistero col batticuore

Carlo Carrà è tra i massimi artisti del XX secolo. Pur lontano dalla fede è ancora da scoprire nella sua essenza più vera, non indifferente alle domande sul senso della vita e al tema dell’eternità. A ben guardare infatti, la sua opera e i suoi scritti mostrano un’attenzione al reale che sfiora il mistero. Il dipinto ha un fine poetico in cui riconosce l’esistenza di un misticismo pittorico. La mostra a Palazzo reale. 

Cultura 11_11_2018

Resterà aperta fino al 3 settembre la mostra su Carlo Carrà a Palazzo Reale a Milano. La mostra è curata da Maria Cristina Bandera e promossa dal Comune di Milano e Civita Mostre. Ma perché è opportuno visitarla? Perché dice molto di più di quello che si potrebbe pensare di questo artista.

Negli anni giovanili era vicino ai gruppi libertari e socialisti e rimarrà tutta la vita sostanzialmente laico. Ma Carlo Carrà (1881-1966), tra i massimi artisti del XX secolo, pur lontano dalla fede o anche da semplici aperture religiose, è forse ancora da scoprire nella sua essenza più vera, non indifferente alle domande più pregnanti sul senso della vita e al tema dell’eternità. A ben guardare infatti la sua opera, e i suoi scritti sulla creazione artistica, mostrano un’attenzione al dato reale che sfiora il mistero. Il dipinto per lui ha «un fine poetico», riconosce l’esistenza di un «misticismo pittorico» in cui «l’animo s’acqueta nella tranquilla contemplazione della realtà» e intravede, dietro le «cose ordinarie» che raffigura, «uno stato superiore dell’essere» che conduce a una «pacata felicità». Scrive nel 1915 a Giovanni Papini: «Faccio ritorno a forme primitive, concrete, mi sento un Giotto dei nostri tempi». Insomma avverte - sia pure indistintamente - una “presenza” che rimanda ad altro. Lo possiamo verificare visitando la mostra milanese di Palazzo Reale, la più ampia che gli sia mai stata dedicata (più di 130 opere esposte), aperta fino al 3 febbraio 2019.

UNA COMPAGNIA FRATERNA
Pur avendo partecipato con convinzione ai tumultuosi movimenti di rinnovamento degli inizi del XX secolo, il futurismo di cui teorizzò il Manifesto con Marinetti e la pittura metafisica con De Chirico, Carrà elaborò una sua personale ricerca innovativa  sulla pittura, che tuttavia non tralasciava la ricchezza della tradizione. La mostra documenta i diversi momenti del percorso dell’artista che, affascinato dalle scoperte dei suoi contemporanei, passa dal divisionismo al futurismo, al primitivismo sotto l’influenza di Picasso, alla spazialità sospesa della pittura metafisica, per arrivare alla pura passione per la realtà in cui viveva, che cercava di cogliere nel suo significato più autentico. Arriverà a parlare di «esperienze spirituali», contrapposte alle «correnti intellettualistiche» del tempo. Cinquale (Massa Carrara) e Forte dei Marmi (Lucca) sono i suoi luoghi privilegiati della vita e della memoria, con il fascino della natura e della compagnia fraterna degli amici, con il rito del gioco delle bocce e «l’ora del rabarbaro» al Caffè Roma. Qui passava le sue estati, come ben documentano foto e filmati vivacissimi, presenti in mostra, che ci testimoniano la sua «vita appassionata», come lui stesso la definisce ne La mia vita, autobiografia scritta nel 1942, presentata anche attraverso le parole di Roberto Longhi, storico dell’arte e suo caro amico.

LIBERTA’ INTELLETTUALE
Nella rassegna emerge prepotentemente l’uomo-pittore, schietto e libero, anche quando negli anni Trenta si dedicherà agli affreschi per il Palazzo di Giustizia di Milano, in pieno fascismo, ma con il suo tratto autonomo e originale di artista coraggioso, che con perentorietà aveva affermato nel 1922: «Questa data segna la mia ferma decisione di non accompagnarmi più ad altri, di essere soltanto me stesso». Un bel segno di autonomia in tempi di arte di regime. Infatti, dipingendo per la mostra del Novecento Italiano del 1926, presenta quei “nuotatori” e nudi femminili, atleti e pugili così imponenti e insieme affatto eroici, segno della sua libertà intellettuale in contrasto con i fasti del tempo. E per capire che cosa fosse il Novecento Italiano vale la pena visitare subito dopo Carrà la mostra su Margherita Sarfatti presso il contiguo Museo del Novecento, aperta fino al 24 febbraio 2019, che apre squarci inediti su quel periodo complesso ancora in gran parte da indagare, aldilà delle ombre del regime mussoliniano.

QUEL “BATTICUORE”
Qual è il segreto di quest’uomo col basco sempre in testa, la chioma lunga e bianca, il viso arguto segnato dal tempo, di atteggiamenti e gusti per nulla mondani? Ci aiuta la sua biografia. Come racconta il nipote Luca, curatore dell’archivio di Carrà, il nonno aveva il suo studio in casa, un angolo in sala, un unico tavolo impastato di colore come una tavolozza. Nato in ristrettezze a Quargnento, nei pressi di Alessandria, era tale la sua passione, sin da giovanissimo, che disegnava sui muri di casa, senza sosta, al punto che il padre dovette imbiancare un locale in mansarda e mettergli a disposizione le pareti per i suoi primi, geniali scarabocchi. Si trasferirà poi a Milano e frequenterà la scuola serale di Brera. Lavorerà anche come stuccatore a Parigi, dove potrà ammirare grandi come Renoir, Cezanne, Pissarro, Sisley, Monet, Gauguin e più tardi, quando vi ritornerà dopo gli entusiasmi futuristi, Picasso e Modigliani. Carrà è l’autore di quadri dal fascino misterioso come L’attesa, che insieme a Chiesa di Forte dei Marmi o Estate ci aprono uno squarcio sulla bellezza e l’incanto della vita. A conferma dell’inquietudine e dell’attesa che albergavano nel suo cuore, Carrà scrive nel 1918, in una pagina personale e intima di Soliloquio: «L’ora ultima mi troverà con il batticuore».