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IL BELLO DELLA LITURGIA

Caravaggio: lo stupore veritiero di chi vede il risorto

Siamo a Emmaus, in una locanda più che dignitosa dove Caravaggio immagina essersi consumata la cena tra il “forestiero” e i due viandanti di ritorno da Gerusalemme, di cui parla il Vangelo di Luca. La tela, conservata a Londra, descrive nei minimi particolari la contingente realtà, come unico scenario in cui si possa compiere la resurrezione.

Cultura 10_04_2021

Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro”. Lc 24,15

Tre commensali e un oste. Una tavola imbandita sopra una raffinata tovaglia damascata. Mentre la luce, che arriva come sempre da sinistra, da risalto ai colori e proietta ombre sul muro creando chiaroscuri che contribuiscono ad accentuare la drammaticità del momento. Siamo a Emmaus, in una locanda più che dignitosa, considerata la finezza dei dettagli delle stoviglie: è qui che Caravaggio immagina essersi consumata la cena tra il “forestiero” e i due viandanti di ritorno da Gerusalemme, di cui parla il Vangelo di Luca. La tela, celeberrima, realizzata nel 1601 e conservata a Londra, anticipa di qualche anno la seconda versione caravaggesca del medesimo soggetto, oggi a Brera. Delle due, quella londinese è senz’altro più ricca e complessa.

Il Merisi cattura il momento culminante dell’episodio evangelico, l’attimo in cui il Risorto si svela agli occhi dei due uomini, fin qui semplici compagni di viaggio. È giovane, Cristo, e imberbe, come un Buon Pastore paleocristiano: è comprensibile, dunque, che non sia stato riconosciuto da chi conservava negli occhi, e nel cuore, un ricordo diverso di Colui che era stato appena crocefisso. Sono persone umili, in fondo, i viandanti, come si evince dalle vesti che indossano: quello di sinistra ha la giacca logora e bucata. Caravaggio insiste con la luce su questo particolare, così come illumina la conchiglia appuntata sull’abito dell’altro discepolo - probabilmente Cleofa - che evidentemente fa di lui, e di loro, dei pellegrini.

Basta un gesto, però, e tutto cambia: Gesù allunga il braccio destro, la mano benedicente il pane, simbolo eucaristico per eccellenza, posato sul tavolo. Lo stupore e l’avvenuta consapevolezza dei commensali si traducono sulla tela nell’impeto del primo che afferra i braccioli della sedia per alzarsi, e nelle braccia spalancate dell’altro, funzionali al pittore per rendere la profondità dello spazio. L’unico che non sembra cogliere la portata del momento è l’oste che osserva, con sguardo distaccato, la scena.

Eppure tutto parla di Lui: la brocca del vino e la caraffa ricolma di acqua sono simbolo, rispettivamente, della natura divina e umana di Gesù, al cui sacrificio allude il piatto di carne al centro del tavolo. La stessa tovaglia bianca, del resto, ricorda un altare. E sul bordo, in bilico, c’è una bellissima composizione di frutta, in gergo pittorico una natura morta, che dice della precarietà dell’esistenza umana, la quale, senza la Resurrezione, rimarrebbe, in effetti, fine a se stessa.

Caravaggio descrive nei minimi particolari la contingente realtà, così come essa appare. Che è poi l’unico scenario possibile in cui si possa compiere ciò che è davvero avvenuto: Cristo che, risorgendo, vince la morte, si rende infine compagno all’uomo, condividendo con lui la semplicità del vivere quotidiano.