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Black Lives Matter, scene di una rivoluzione culturale

La protesta di Black Lives Matter diventa una rivoluzione culturale, in stile cinese. Bari Weiss, editorialista del New York Times è stata purgata dalle nuove leve della sinistra estrema. Le università "purgano" i loro studi per conformarsi alla nuova ideologia. E in sempre più città, autorità locali puniscono chi contesta i contestatori

Esteri 15_07_2020
Uno dei graffiti di BLM

La protesta di Black Lives Matter sta assumendo sempre più le sembianze di una rivoluzione culturale. E come tutte le rivoluzioni, si sta istituzionalizzando, con nuove classi dirigenti che purgano le vecchie.

L’ultima a farne le spese, in ordine di tempo, è stata Bari Weiss, giornalista editorialista del New York Times. Esponente ebrea della vecchia sinistra (ormai ritenuta troppo moderata), è stata vittima di una vera e propria campagna di mobbing da parte dei colleghi più giovani che condividono idee della nuova estrema sinistra e praticamente costretta a rassegnare le dimissioni. Nella sua lettera di addio al giornale, pubblicata sul suo blog, la Weiss, racconta di essere stata “… chiamata nazista e razzista; ho imparato ad ignorare commenti sul fatto che io scrivessi ‘ancora di questi ebrei’. Diversi colleghi, visti come miei amici, sono state presi di mira, a loro volta, dagli altri colleghi. Il mio lavoro e la mia persona sono stati apertamente umiliati in canali di messaggistica aziendali in cui partecipavano regolarmente redattori della testata. Qui, alcuni colleghi insistevano che io fossi cacciata se questa azienda avesse voluto essere più ‘inclusiva’, mentre altri mettevano l’emoji dell’accetta vicino al mio nome”. Lo scenario che la Weiss descrive è quello di un conformismo ideologico soffocante. "Perché pubblicare qualcosa che rappresenta una sfida per i nostri lettori, o scrivere qualcosa di forte solo per doverlo poi anestetizzare fino a renderlo ideologicamente kosher (puro, ndr), quando possiamo garantirci la sicurezza lavorativa (e il numero di lettori) pubblicando il nostro 4000mo editoriale su quanto Donald Trump sia un pericolo senza precedenti per il Paese e per il mondo? E allora l'auto-censura è diventata la norma". 

Il clima di terrore all’interno del New York Times, in questi mesi, era già apparso evidente con le dimissioni (pressoché forzate) di James Bennet, caporedattore della sezione opinioni. Reo di aver pubblicato il parere di un senatore repubblicano (che era a favore dell’uso dell’esercito per aiutare la polizia a tenere a bada le proteste), è stato vittima di un attacco concentrico da parte di redattori, firme prestigiose, impiegati e pubblico, fino alla proclamazione di uno sciopero. Ma le stesse cose accadono anche nelle istituzioni accademiche. A causa di uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, citato anche su queste colonne, un dirigente dell’Università Statale del Michigan, Steve Hsu, è stato praticamente obbligato a rassegnare le dimissioni. Lo studio, sponsorizzato dal fisico Hsu, dimostrava come non vi fosse alcuna correlazione diretta fra il razzismo e incidenti mortali che coinvolgono la polizia. Ma proprio perché questo studio è stato più volte citato, a partire dal Wall Street Journal, contro le tesi sul “razzismo sistemico”, i sindacati dell’Università del Michigan hanno indetto uno sciopero e una pressione sempre più forte si è scatenata contro il povero Hsu, fino alle sue dimissioni. I due autori dello studio, Cesario e Johnson, hanno chiesto (o dovuto chiedere) di ritirare la loro pubblicazione, senza citare alcun motivo scientifico alla base della loro richiesta. L’ufficio stampa dell’università ha chiesto ufficialmente scusa per il “male inflitto” dall’articolo in questione.

In giungo, l’American Physical Society, che rappresenta 55mila fisici in tutto il mondo, ha sostenuto uno sciopero di un giorno “per le vite dei neri”, per “eradicare il razzismo sistemico e la discriminazione, specialmente nell’università e nelle scienze”. Il documento si riferisce precisamente alle scienze naturali, che a detta dei suoi estensori sarebbero essere stesse infettate dal razzismo. “La fisica non fa eccezione”, si legge. Solo nei regimi totalitari di Unione Sovietica e Cina la fisica è stata piegata alle esigenze ideologiche, perché non doveva contraddire il marxismo. La nascita di una nuova “fisica antirazzista” potrebbe essere un segnale molto grave, da non sottovalutare.

Nemmeno l’informatica è esente da questa ondata di ideologia. Linux, sistema operativo fra i più diffusi, sta infatti cambiando il suo linguaggio di programmazione, per adottarne uno più “inclusivo”. Ad esempio, al posto di “blacklist” (lista nera) si dovrà scrivere “blocklist” (lista dei blocchi) o “denylist” (lista dei negati). Sarà vietato anche il termine “slave” (schiavo), da sostituire con replica, subordinate, o secondary. È bene ricordare che non stiamo parlando di persone, ma di programmi.

Una rivoluzione è tale quando si istituzionalizza. E sono molte le autorità locali che stanno aderendovi e applicando la legge assecondando soprattutto i desiderata dei rivoluzionari. A St. Louis (Missouri) è diventato celebre il video di due padroni di casa, Mark e Patricia McCloskey, che difendono con le armi in pugno la loro proprietà dall’incursione nel loro giardino di un folto gruppo di manifestanti Antifa. Il video, che era stato rilanciato con entusiasmo dallo stesso presidente Trump, è stato immediatamente stigmatizzato dai media, che hanno dipinto i due anziani coniugi come “bianchi che puntano le armi sui manifestanti”. Il clamore mediatico ha fatto partire un’indagine di polizia e le armi dei coniugi, che pure erano legalmente possedute e non hanno sparato un colpo, sono state sequestrate.

In California, invece, una coppia di signori di mezza età è stata denunciata perché stava provando a coprire di vernice nera il tratto di strada su cui era dipinto il graffito con la scritta “Black Lives Matter”. La contea di Contra Costa ha annunciato l’apertura di un processo a loro carico, con accuse gravi fra cui “crimine di odio”. Perché provavano a ricoprire un graffito. Le scritte “Black Lives Matter” sono diventate obbligatorie? Sì, almeno dove governano i democratici: il sindaco di New York, Bill de Blasio, ha partecipato alla pittura di uno di questi graffiti, proprio sotto la Trump Tower, in centro a Manhattan.

A Seattle, dove il comune ha avviato corsi per impiegati bianchi per “Contrastare il razzismo interiorizzato e l’idea di superiorità razziale dell’essere bianchi”, subito dopo l’inizio del movimento Black Lives Matter, il sindaco Jenny Durkan ha permesso che un pezzo del centro della sua città venisse letteralmente occupato dagli attivisti antifascisti, che ne hanno fatto una vera Comune. La Capitol Hill Autonomous Zone (Chaz) è stato un esperimento collettivista, con agricoltura di autosussistenza, abolizione della polizia e della proprietà privata. Il sindaco di Seattle ha sminuito la portata dell’evento, affermando che: “quattro isolati occupati sono più simili ad una festa di quartiere. Non è occupazione armata. Non è una giunta militare. Ci assicureremo che l’aerea verrà recuperata, ma abbiamo avuto altre feste di quartiere di questo genere ed è parte della cultura di Seattle”. Peccato che la “festa di quartiere”, soprattutto a causa della cacciata della polizia dalla zona occupata, si sia ben presto tradotta in tragedia. Secondo statistiche ancora incomplete delle autorità locali, dal 2 giugno al 1 luglio, i crimini in quel quartiere sono cresciuti del 525% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Crimini che includono: spaccio e consumo di droga, violenze sessuali, furti, rapine a mano armata e un aumento delle attività di bande criminali. La storia della Chaz è punteggiata di sparatorie: il 20, 21 e 23 giugno, fino a quella del 29 giugno che ha causato la morte di un ragazzo di 16 anni e il ferimento grave di un 14enne. Dopo questi luttuosi eventi, anche le autorità di Seattle hanno dovuto sgomberare la Chaz, d’accordo con il servizio d’ordine degli occupanti.