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SACERDOZIO

Benedetto XVI e il celibato, Avvenire ci marcia

Benedetto XVI che spiana la strada ai preti sposati? Solo Avvenire poteva riuscire in una operazione intellettualmente così truffaldina, manipolando il saggio contenuto nel libro scritto con il cardinale Sarah. Obiettivo? Evitare obiezioni alla Esortazione apostolica post-sinodale che è in arrivo.

Editoriali 01_02_2020

Meno male che esiste Fulvio De Giorgi, che in un articolo apparso su Avvenire – c’era bisogno di specificarlo? - ci spiega che il senso cattolico del celibato sta tutto nella sua funzionalità. Assist perfetto per l’Esortazione apostolica post-sinodale in dirittura d’arrivo. Va da sé, infatti, che se il celibato è funzionale, può essere dispensato ogni volta che lo si ritenga disfunzionale. Leggi: scarsità del clero.

Dicevamo, meno male che ci ha pensato Avvenire a dire apertamente quello che in pochi avevano capito: e cioè che il continuo piangere di commozione sul celibato come dono – per la serie “il celibato è un dono, non un dogma” -, era come gettare foglie sulla tagliola, per occultarla in attesa del momento opportuno per farla scattare.

Nell’articolo che De Giorgi, Ordinario di Storia della pedagogia e dell’educazione all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, dedica al contributo di Benedetto XVI per il libro Dal profondo del nostro cuore, ci sono almeno tre errori.

Primo. Ratzinger scrive: «Visto che i sacerdoti veterotestamentari dovevano dedicarsi al culto solo in determinati momenti, matrimonio e sacerdozio risultavano senz’altro tra loro conciliabili. A causa della celebrazione eucaristica regolare, o in molti casi giornaliera, per i sacerdoti della Chiesa di Gesù Cristo la situazione era radicalmente cambiata. Tutta la loro vita è in contatto con il mistero divino ed esige così un’esclusività per Dio la quale esclude un altro legame accanto a sé, come il matrimonio, che abbraccia l’intera vita».

De Giorgi ritiene questa affermazione «un passaggio originale e nuovo», ma non è vero, come abbiamo già avuto modo di dimostrare (vedi qui). Se si prendessero in considerazione le profonde ragioni dell’antica tradizione, si capirebbe meglio anche il seguito del ragionamento di Benedetto XVI e cioè che «si potrebbe dire che l’astinenza funzionale si era trasformata da sé in un’astinenza ontologica. In questo modo la sua motivazione e il suo senso erano mutati dall’interno e in profondità».

Questo mutamento dall’interno era proprio quello che Lutero non riusciva a cogliere. E forse nemmeno De Giorgi, perché è evidente che il Papa emerito non intende parlare semplicemente del passaggio da un sacerdozio part-time ad uno a tempo pieno, che renderebbe incompatibile – per questioni di tempo – il ministero e la vita di famiglia. La prospettiva corretta è invece quella del passaggio dalla preparazione al compimento, dal segno alla realtà. Per questo è una trasformazione «dall’interno», così come avviene per ogni segno dell’Antica Alleanza – segni fatti di carne e di storia –, che si compie in Cristo.
Il novum del sacerdozio del Nuovo Testamento è che si tratta di una partecipazione al sacerdozio di Cristo, Sposo della Chiesa e per questo celibe, non solo di un segno. In questo senso il celibato, o meglio la continenza, appartiene al piano ontologico e non a quello meramente funzionale, perché appartiene costitutivamente al modo in cui Cristo ha vissuto il proprio sacerdozio sponsale.

E passiamo al secondo punto. De Giorgi ritiene che il celibato resti funzionale, mentre ontologico è il carattere sacerdotale: «l’astinenza è funzionale, ma – nell’ambito di un sacerdozio ontologicamente diverso – mutano dall’interno e in profondità la sua motivazione e il suo senso. Da qui il grande onore e l’importanza che ha il celibato (funzionale) all’interno della storia del sacerdozio ministeriale cattolico». Già questa affermazione è problematica: se muta in profondità il senso del celibato, significa che è mutata la realtà, altrimenti la nuova motivazione ed il nuovo senso restano senza fondamento. De Giorgi dovrebbe spiegare per quale ragione ad un sacerdozio ontologico (e non più funzionale, come quello antico) continui a corrispondere un celibato funzionale e non invece ontologico.

Ma il vero problema è un altro. Ecco cosa scrive De Giorgi: «i preti che chiedevano e ricevevano la dispensa per sposarsi con il sacramento del matrimonio, rimanevano comunque preti. Di conseguenza vi erano e vi sono preti latini sposati, anche se non possono esercitare il loro ministero. Altra conseguenza: il celibato ecclesiastico ha un carattere, esso sì, funzionale e connesso alla disciplina dell’esercizio del ministero: puoi sposarti, rimani “ontologicamente” prete, ma senza celibato non puoi esercitare il ministero (se il celibato fosse ontologicamente e necessariamente legato all’ordine, caduto esso cadrebbe anche l’ordine: simul stabunt aut simul cadent)».

Secondo De Giorgi, tra continenza e sacerdozio o c’è connessione essenziale oppure solo funzionale: in mezzo, il vuoto. Ma questo è falso. La connessione ontologica di cui parla Ratzinger, o la legge indissolubile, secondo l’espressione di papa Siricio, non implicano un’appartenenza essenziale della continenza al sacerdozio quanto all’essere sic et simpliciter, ma piuttosto all’ “essere bene”, cioè essere secondo l’integra natura di una data realtà, senza menomazioni.

Detto in altre parole: il sacerdozio è conferito validamente anche se la persona non è celibe, e non viene meno in assenza del celibato; ma la continenza rimane un aspetto proprio del sacerdozio, coestensivo ad esso, non un semplice accidente, per quanto prezioso. La mancanza della continenza è perciò una menomazione del sacerdozio. Perché? Perché la continenza ha a che fare precisamente con questo “essere bene”, e in questo senso ha una valenza ontologica. Per De Giorgi, invece, visto che il sacerdozio è valido anche senza continenza celibato, allora esso ha un carattere meramente funzionale.

Da questo errore discendono le successive considerazioni di De Giorgi: «Se il celibato avesse natura ontologica dovrebbe essere stato necessariamente presente sempre e dovunque nella storia della Chiesa». Come si è cercato di mostrare nel libro Vi dichiaro celibi e casti, nel quale vengono riassunti i migliori studi sulla questione, la continenza del clero (non necessariamente il celibato), è sempre stata la norma, ritenuta di origine apostolica, a conferma del legame ontologico spiegato sopra. Chi non la osservava, non corrispondeva adeguatamente all’essere del proprio sacerdozio e dunque veniva escluso dallo stato clericale.

E’ con il Concilio trullano che la disciplina delle Chiese orientali cambia e tale cambiamento non venne accettato né da papa Sergio I, che per questo rifiuto rischiò di essere fatto prigioniero da Giustiniano II, né da papa Costantino I, che accettò gli altri canoni del trullano, ma respinse con fermezza quelli relativi al cambiamento della legge della continenza. L’attuale disciplina delle Chiese orientali più che un’eccezione, è un’anomalìa, una non corrispondenza all’ “essere bene” del sacerdozio; e perciò dovrebbe essere orientata verso il progressivo e graduale ritorno alla continenza obbligatoria, che era il “canone” della Chiesa dei primi sette secoli anche per l’Oriente.

Terzo errore. Secondo De Giorgi, sostenere un legame ontologico della continenza con il sacerdozio, significherebbe «che sono santi “sbagliati” san Gregorio di Nissa, in Oriente, e san Paolino di Nola, in Occidente: sposati eppure preti e vescovi. Ma Ratzinger, ovviamente, non sostiene questo». Certo che Benedetto XVI non lo sostiene, ma non perché “ceda” sul legame ontologico, quanto piuttosto perché sa che sia Gregorio di Nissa che Paolino da Nola non erano celibi, ma erano continenti. Dal momento della loro ordinazione diaconale, erano obbligati, con il consenso delle proprie spose, a cessare i rapporti matrimoniali; cosa che tra l’altro Ratzinger scrive esplicitamente poco oltre, quando, parlando della disciplina dei primi secoli dice che «gli uomini sposati non potevano ricevere il sacramento dell’Ordine se non si erano impegnati ad osservare l’astinenza sessuale». Ma questo De Giorgi se lo è dimenticato. Strano davvero.