Bauman, la paura di chiamare i jihadisti col loro nome
In una delle ultime interviste rilasciate da Zygmunt Bauman, il filosofo e sociologo, morto lo scorso 9 gennaio, ribadisce che non esistono guerre di religione. Che tutte hanno motivi politici ed economici. Ma i jihadisti cosa devono fare, ancora, per spiegarci che la loro è, a tutti gli effetti, una guerra di religione?
La morte in tarda età, il 9 gennaio scorso, di Zygmunt Bauman, il famoso sociologo ebreo polacco, mi ha indotto a incuriosirmi di una delle sue ultime interviste, intervista comparsa nell’ottobre precedente su Avvenire.
Lo studioso, divenuto celebre per le sue teorie sulla «società liquida», affermava, tra le altre cose, che il mondo oggi vive una guerra «frammentata». Non una guerra-guerra ma più guerricciole qua e là. Le guerre in corso sono guerre «d’interessi, per denaro, per le risorse, per governare sulle nazioni». E fin qui, sia detto con tutto il rispetto, non ci pare una deduzione granché geniale. Le guerre in corso, insomma, sono come le guerre passate. Ma forse l’intervistatore intendeva spingere l’autorevole sociologo a dire la sua sull’Isis e la guerra in nome di Allah. «Non la chiamo guerra di religione, sono altri che vogliono far credere che sia una guerra tra religioni». In effetti, una guerra è di religione se ci sono almeno due avversari di religione diversa, come avveniva al tempo degli ugonotti francesi o della Guerra dei Trent’Anni. Oggi, di contendenti ce n’è solo uno: il jihadismo, che dice di combattere per motivi religiosi. Ma ci sono un sacco di occidentali, prelati compresi, che, in pratica, dicono che i jihadisti mentono.
Tra questi, a quanto pare, anche lo stimato sociologo: «Bisogna stare attenti a non seguire la mentalità corrente. In particolare la mentalità indotta dal politologo di turno, dai media, da coloro che vogliono raccogliere il consenso, dicendo ciò che loro volevano ascoltare». A parte la sintassi (copio la citazione da un lancio dell’agenzia Zenit.org), forse dovuta a un taglia-e-incolla frettoloso, càpita, a me pare che pure Bauman faccia il «politologo di turno», accodandosi al coro omnipartisan di quanti si affannano da anni a dire che tutte le religioni, islam compreso, sono per la pace. Poveri jihadisti, ma che cosa devono fare per convincerci che la loro è una guerra di religione senza se e senza ma? Le hanno provate tutte, hanno applicato la sharìa sine glossa, hanno marchiato con la «n» di «nazirim» le case dei cristiani, hanno abbattuto ogni statua che trovavano. Ma la «mentalità corrente» continua imperterrita a chiedersi che cosa veramente vogliano, visto che è impossibile che si possa sgozzare la gente in nome di una divinità.
«La paura ha le sue origini nelle ansietà delle persone e, anche se abbiamo delle situazioni di grande benessere, viviamo in una grande paura». Insomma, abbiamo paura perché siamo ansiosi, dovremmo prendere uno xanax. «Le persone hanno paura di avere paura, anche senza darsi una spiegazione del motivo». Bisognerebbe dirlo a quelli che hanno circondato di piloni in cemento i mercatini di Natale e il Duomo di Milano: di che avete paura? «E questa paura così mobile, inespressa, che non spiega la sua sorgente, è un ottimo capitale per tutti coloro che la vogliono utilizzare per motivi politici o commerciali. Parlare così di guerre e di guerre di religioni è solo una delle offerte del mercato». Sembra un’omelia di Francesco ma è il Venerato Maestro che così parla. La colpa è delle solite F.o.d.r.i.a., le Forze Oscure Della Reazione (capitalista, ça va sans dire) perennemente In Agguato. Quali scopi commerciali perseguano i piloni di cemento attorno ai mercatini non è chiaro, ma ipse dixit. E’ pur vero che non c’è bisogno di scomodare sociologi di chiara fama internazionale per sapere che il commercio delle armi esiste ed è fiorente. Lo sappiamo che gli Usa di Obama hanno effettuato la più grande fornitura della storia all’Arabia Saudita. Ma se quel regno sunnita-wahhabita non dovesse regolare i conti col millenario nemico sciita in un vastissimo scacchiere, e per motivi meramente religiosi, Obama avrebbe dovuto cercarsi un altro compratore.
Perché, dunque, questo rifiuto di chiamare le cose col loro nome? Per paura? Sì, abbiamo una paura matta che le cose finiscano dove andranno a finire se non vi si pone rimedio, paura che i «moderati» si radicalizzino, per questo li blandiamo e li portiamo in palmo di mano. Per questo sopportiamo che gli immigrati assedino la prefettura di Firenze al grido di «vogliamo la casa». Per questo non osiamo dir loro: e perché mai dovremmo darvela, la casa? Poverini, hanno speso settemila euro a testa, hanno sopportato frustate, mutilazioni, stupri e pure omicidi, hanno rischiato l’annegamento in mare; dunque, hanno diritto non solo alla casa, ma anche alla chiesa quando fa freddo.