Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
VACANZE LETTERARIE/3

Alla scoperta di Pascoli tra Castelvecchio e la Garfagnana

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Pascoli rese celebre queste terre attraverso i suoi versi e la casa di Castelvecchio in cui si trasferì. La data del suo trasferimento non fu certo casuale...

Cultura 07_08_2023

La Garfagnana è una terra che offre spettacoli naturali e borghi antichi da visitare, ma, chiusa tra le Alpi Apuane a ovest e l’Appennino tosco-emiliano a est, è rimasta nel passato lontana dalle rotte più frequentate e ancor oggi non rientra negli itinerari turistici più noti.

Nella Commedia Dante ricorda due montagne delle Apuane quando nel canto XXXII dell’Inferno descrive lo spessore del ghiaccio del Lago Cocito che non sarebbe scalfito neppure dalla caduta dei Tambernicchi (la Tambura) o di Pietrapana (Pania della Croce), montagne che il poeta vide durante il soggiorno in Toscana, ospite della famiglia Malaspina.

La Garfagnana è stata resa celebre da due giganti della poesia italiana: Ludovico Ariosto (1474-1533) e Giovanni Pascoli (1855-1912).

Ariosto divenne governatore di quelle terre quando era segretario del duca Alfonso II d’Este tra il 1522 e il 1525 e mostrò tutta la sua abilità politica e diplomatica nel riportare l’ordine, la sicurezza e la pace in luoghi dominati da scontri e da briganti. Colpito in principio dalla rozzezza dei costumi degli abitanti e dall’asprezza dei luoghi, ben presto Ariosto iniziò a provare compassione per quelle persone che erano abituate a subire soprusi e sopraffazioni e, nel contempo, nutrì sempre più disprezzo e ostilità per i prepotenti che comandavano. Castelnuovo conserva ancora l’antica rocca chiamata ariostesca, a memoria dell’autore dell’Orlando furioso.

Pascoli rese celebri queste terre attraverso i suoi versi e la casa di Castelvecchio in cui si trasferì. A soli dodici anni, Pascoli perse il padre, ucciso mentre ritornava a casa. L’anno seguente (1868) morì la madre Margherita, a detta del poeta per l’insopportabile dolore a seguito della scomparsa del marito. Tutta la produzione pascoliana fu segnata indelebilmente dal dolore e dalla nostalgia dei suoi cari. Insegnante di liceo e professore universitario, Pascoli cercò di ricostituire il nido familiare nella casa di Castelvecchio di Barga assieme alle sorelle Ida e Maria: illusione che, presto, si sarebbe rivelata vana. La casa venne scelta in un luogo caratterizzato da pace e da tranquillità. Mentre Pascoli insegnava a Livorno, due amici gli fecero conoscere il paese di Barga, che all’epoca era raggiungibile solo in carrozza (a cinque ore da Lucca). Pascoli affittò una villa settecentesca della famiglia Cardosi Carrara e vi si trasferì il 15 ottobre 1895 con la sorella Maria e il cagnolino Gulì.

La data del trasferimento a Castelvecchio non fu certo casuale, ma aveva un profondo valore simbolico: il giorno in cui nacque Publio Virgilio Marone, autore dell’Eneide, cantore del lavoro dei campi nelle Georgiche e profeta della necessità di una palingenesi di tutta l’umanità nella IV bucolica. Per Pascoli Castelvecchio doveva rappresentare una rinascita o, meglio, il ritorno all’età felice dell’infanzia, ormai deturpata dal barbaro omicidio del padre. Solo nel 1902 Pascoli poté acquistare la villa grazie al ricavato della vendita delle medaglie d’oro vinte ripetutamente nei concorsi di poesia latina di Amsterdam. La sorella Ida, convolata a nozze, non si trasferì a Castelvecchio, mentre Maria assecondò il progetto del fratello di ricostituire il nido familiare.

Dalla morte di Giovanni (1912) fino alla sua (1953), Maria visse nella solitudine della Bicocca di Caprona (così era chiamata la casa) senza apportare alcuna modifica. Dal 1934 fu annesso all’abitazione un edificio che divenne sede di un asilo dell’infanzia dedicato a Ruggero e Caterina Pascoli. Nel testamento Maria lasciò al comune di Barga «la casa, la cappella, i libri, i manoscritti di Giovannino, i premi da lui ottenuti, i ricordi di famiglia e quant’altro nella casa è contenuto, con l’obbligo di provvedere alle spese della manutenzione». La casa divenne un museo, mentre la scuola dell’infanzia sarebbe divenuta sede della fondazione “Giovanni Pascoli”. Dal 2013 tutto il patrimonio conservato nella casa-museo è consultabile nel sito Giovanni Pascoli nello specchio delle sue carte: circa trentaseimila documenti del poeta e ventiquattromila documenti di Maria.

L’ampio giardino (in parte all’italiana) e l’area prospiciente la casa (dotata ancora di un pozzo funzionante) corredano i tre piani dell’abitazione. Lo studio del poeta si trova al secondo piano ed è corredato di tre scrivanie, una per ciascuna delle sue passioni: la poesia latina, la poesia italiana, la Divina Commedia. Una ricchissima biblioteca contiene tutta la produzione di Pascoli e il materiale documentario che il poeta consultava per le sue trattazioni.

Il soggiorno a Castelvecchio fu un periodo particolarmente prolifico per la poesia di Pascoli. La quarta raccolta poetica, dedicata alla madre Caterina Alloccatelli Vincenzi, è intitolata I canti di Castelvecchio. Con la frase incipitaria «Arbusta iuvant humilesque myricae» (ovvero «piacciono gli arbusti e le umili tamerici») il poeta ritorna in un certo senso alla prima raccolta Myricae, scegliendo argomenti, almeno apparentemente, più semplici, richiamando sovente immagini della campagna, temi naturalistici e autobiografici, allontanandosi dalla terzina dantesca scelta per i Primi e Nuovi poemetti.

Nella lettera prefatoria il poeta esprime un forte senso di gratitudine nei confronti della madre alla quale deve l’inclinazione alla poesia: «Io sento che a lei devo la mia abitudine contemplativa, cioè, qual ch’essa sia, la mia attitudine poetica. Non posso dimenticare certe sue silenziose meditazioni in qualche serata, dopo un giorno di faccende, avanti i prati della Torre». Il poeta è convinto che la morte della madre sia conseguenza di quella del padre: la sofferenza ha portato la cara figura materna al trapasso. Sono trascorsi tanti anni, ma nel cuore del poeta e nelle sue poesie rimane ancora forte il segno di quel 10 agosto 1867, quando degli assassini privarono un’intera famiglia di un padre, «non solo innocente, ma virtuoso, sublime di lealtà e bontà».

Vicino a Castelvecchio, al Teatro comunale di Barga, il 21 novembre 1911 Pascoli tenne un discorso sull’impresa di Libia per spronare l’esercito italiano all’azione. Il discorso fu poi pubblicato su La Tribuna del 27 novembre. A tutti è noto con il titolo La grande proletaria si è mossa.



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