Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Sant’Alberto Magno a cura di Ermes Dovico
TRADIZIONE RICCA

Alla scoperta degli inni in onore di san Giuseppe

Ascolta la versione audio dell'articolo

Diversi, anche se poco conosciuti, gli inni liturgici su san Giuseppe, che trasmettono ciò che la Chiesa ha sempre creduto e insegnato sullo sposo della Vergine Maria. Si va dal più noto, il Te, Ioseph, celebrent (Ti celebrino, Giuseppe), al Salve, pater Salvatoris (Salve, o padre del Salvatore).

Ecclesia 18_03_2023

Sarà un 19 marzo particolare quello di quest’anno, almeno liturgicamente, perché per la coincidenza con la quarta domenica di Quaresima, la Domenica Laetare, la solennità di san Giuseppe slitterà al giorno dopo: lunedì 20 marzo. Questo sul piano liturgico, anche se a livello pratico saranno molti i luoghi in cui si festeggerà comunque lo sposo della Beata Vergine Maria nella data tradizionale del 19 marzo.

In un tempo come l’attuale, in cui è tanto più necessario riscoprire la figura di san Giuseppe, è bene attingere a tutte le risorse della fede e della tradizione cattolica. Tra queste, un posto speciale lo occupano gli inni liturgici. Diversi quelli dedicati a san Giuseppe, che trasmettono ciò che la Chiesa ha sempre creduto e insegnato sul padre di Gesù. Accenniamo a tre di questi inni, belle espressioni del principio secondo cui la lex orandi riflette la lex credendi.

Iniziamo dal più noto, il Te, Ioseph, celebrent (Ti celebrino, Giuseppe), che la Liturgia delle ore prevede ai primi e secondi Vespri della solennità di san Giuseppe. L’inno richiama, con rapidi cenni, alcuni dei principali misteri della vita nascosta di Gesù: l’Incarnazione, la nascita del divin Bambino, la fuga in Egitto, lo smarrimento e il ritrovamento a Gerusalemme. Il tutto è visto dalla prospettiva di Giuseppe, di cui già la prima strofa ricorda il matrimonio - chiamato casta alleanza (casto foedere) - con la Vergine. La seconda strofa si sofferma sul mistero del concepimento di Gesù e quindi sul dubbio angoscioso che assalì Giuseppe (dubio tangeris anxius) prima che l’angelo gli rivelasse in sogno che quel Bambino era frutto dello Spirito Santo (per un approfondimento vedi qui o anche il libro San Giuseppe - Maestro per ogni stato di vita, pp. 24-29).

La quarta strofa canta il singolare privilegio di Giuseppe, il quale - diversamente dagli altri santi - godette giorno per giorno di Dio già in terra, avendo avuto Gesù nella sua stessa casa, provvedendo, insieme a Maria Santissima, a nutrirlo, crescerlo ed educarlo. La quinta si ricollega ai meriti (già affermati nella prima strofa) del glorioso patriarca, invocando la SS. Trinità di perdonarci per intercessione di san Giuseppe.

Altro inno inserito nella Liturgia delle ore è il Caelitum, Ioseph, decus (O Giuseppe, gloria dei celesti), cantato a inizio del Mattutino. «Questo inno è un monumento di gloria a san Giuseppe», lo definisce a ragione padre Tarcisio Stramare († 20 marzo 2020). Già la prima strofa - attribuendogli i titoli di Caelitum decus, nostrae certa spes vitae e columen mundi - inizia con i fuochi di artificio. «“Gloria dei Celesti”, “sicura speranza della nostra vita”, “sostegno del mondo”, sono tre titoli - spiega padre Stramare - che riconoscono a san Giuseppe l’importanza del suo ruolo a tutti i livelli della creazione: gli angeli, gli uomini e il mondo».

Il perché di tante lodi risulta manifesto nella seconda strofa. Seguiamo la traduzione scelta dal noto josefologo (cfr. San Giuseppe. Fatto religioso e teologia, padre Tarcisio Stramare, Shalom, 2018, pp. 582-583):

Te, figlio di Davide, il Creatore ha stabilito sposo della Vergine, e che del Verbo fossi chiamato padre, e ti ha anche costituito ministro della salvezza.

Quattro titoli in una strofa sola, da satum David all’appellativo, molto familiare, di sposo della Vergine a quello meno diffuso di ministrum salutis (ministro della salvezza), un’espressione, quest’ultima, già adoperata da san Giovanni Crisostomo e poi ripresa da papa Wojtyła nell’esortazione apostolica Redemptoris Custos. «Il titolo, tuttavia, più sorprendente - scrive padre Stramare - è quello di “padre del Verbo”, che costituisce in assoluto la perla di tutto l’inno. Coloro i quali sono preoccupati di delimitare la paternità di san Giuseppe attraverso un’instancabile serie di aggettivi, sono qui sbalzati da ogni preoccupazione riduttiva, perché di più non si potrà dire. Considerato che ci troviamo in un testo liturgico, ossia ufficiale, non rimane che riconoscere che il titolo è teologicamente ineccepibile, ovviamente nell’ambito dell’analogia fidei [ossia la coesione delle verità della fede tra loro, come la definisce il Catechismo al n. 114, ndr]; il problema dell’opportunità del suo uso non ne intacca la validità».

Riguardo agli aggettivi di cui sopra, si tratta di un uso anche lecito (si pensi a termini come putativo o verginale) perché fondato sulle Scritture, la Tradizione e il Magistero, ma che non deve, per altro verso, diventare abuso, cioè non deve far perdere l’uso di riferirsi a san Giuseppe semplicemente come padre. L’importante, in ogni dato contesto, è trasmettere l’insieme delle verità essenziali che legano la SS. Trinità e la Sacra Famiglia, passando dal concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo. Del resto, come faceva notare lo stesso teologo, basti vedere l’esempio di un autore sacro come san Luca. Il quale è colui che ci restituisce più di tutti il grande evento dell’Annunciazione, con appunto il concepimento verginale di Gesù. Ma allo stesso tempo parla senza riserve di Giuseppe e Maria come «il padre e la madre» (Lc 2,33), li accomuna nel titolo di «genitori» (Lc 2, 27.41) e soprattutto riporta le parole della stessa Madre di Dio che, dopo aver ritrovato Gesù dodicenne tra i dottori del tempio, gli si rivolge affermando: «Tuo padre e io...» (Lc 2,48).

Tornando all’inno, la terza e la quarta strofa ci presentano un intreccio di due straordinarie realtà. In primis, ci viene offerto uno spaccato della Natività, in cui san Giuseppe contempla con gioia e umilmente adora «il neonato, che è Dio». Ma l’inno ci ricorda poi un’altra verità che attraversa i trent’anni della vita nascosta di Gesù: «Il Re, Dio dei re, Dominatore dell’universo […] si sottomette a te» (se tibi subdit), cioè a san Giuseppe. Una verità che sempre san Luca Evangelista ci aveva trasmesso con una semplice frase - «stava loro sottomesso» (Lc 2, 51) - a esprimere il rapporto di filiale obbedienza di Gesù verso i genitori. In particolare, nel sottolineare il ruolo del capo della Sacra Famiglia, san Giovanni Paolo II, nella Redemptoris Custos, afferma:

Giuseppe è colui che Dio ha scelto per essere «l’ordinatore della nascita del Signore» (Origene), colui che ha l’incarico di provvedere all’inserimento «ordinato» del Figlio di Dio nel mondo, nel rispetto delle disposizioni divine e delle leggi umane. Tutta la vita cosiddetta «privata» o «nascosta» di Gesù è affidata alla sua custodia (RC 8).

Un ultimo cenno lo facciamo a un terzo inno, Salve, pater Salvatoris (Salve, o padre del Salvatore). Esso conta più versioni e si ritrova nel Breviario secondo l’uso gallicano (XVII secolo). La versione carmelitana, dopo averci presentato la figura di Giuseppe ter amabilis (tre volte amabile) e la grandezza del suo destino, si conclude con una terza strofa, in cui si eleva una supplica al Salvatore, per intercessione dei suoi santi genitori. Ecco una traduzione:

Per le preghiere e il grembo di Maria, tua madre / Per le cure e l’obbedienza di Giuseppe, tuo padre / Fa’ che possiamo vederti, Gesù, Re nella gloria / Possederti in eterno nella patria celeste. Amen