Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Felice di Como a cura di Ermes Dovico
Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

INCULTURAZIONE

Africa, quando la cultura non deforma il Vangelo

C’è un braccio di ferro in atto tra Chiese africane e Chiesa romana che non riguarda solo alcuni dettagli, come appare con grande chiarezza dall’intervento del vescovo Fuanya. 

Dottrina sociale 02_09_2024

Ha suscitato un notevole interesse nei giorni scorsi l’intervento del vescovo Andrew Nkea Fuanya del Camerun il quale ha detto che l’opposizione dei vescovi africani all’omosessualità non ha motivazioni “culturali” ma di fedeltà a Cristo. L’interesse è dovuto al fatto che questa presa di posizione è in evidente confutazione di quanto affermato da Francesco, il quale aveva sostenuto che la ribellione dei vescovi africani a Fiducia supplicans e alle benedizioni delle coppie dello stesso sesso era dovuta alla loro cultura: "Per loro, l'omosessualità è qualcosa di 'brutto' da un punto di vista culturale; non la tollerano".  

Questo intervento del vescovo Fuanya illumina una questione molto impegnativa, quella del rapporto tra i contenuti della fede rivelata e le culture e contrasta con quanto solitamente il progressismo teologico e pastorale prevalente vuol far credere. Come si sa, la nuova visione moderna della inculturazione del cristianesimo sostiene che le culture non sono da colonizzare, come si sarebbe sempre fatto in passato, ma sono da assumere come il luogo teologico per l’interpretazione dell’Annuncio. Non sarebbero qualcosa di passivo da purificare, ma qualcosa di attivo perché quel punto di vista culturale arricchirebbe il Messaggio, ne farebbe parte intrinseca. Nel dialogo di inculturazione del Cristianesimo, il messaggio cristiano e la cultura sarebbero sullo stesso piano, co-autori della comunicazione di Dio agli uomini. Poi però, in questo caso, non si attribuisce minimamente loro questo ruolo, ma le si considera arretrate e bisognose di aggiornamento. Insomma, non tutte le culture sarebbero uguali. 

Il vescovo Fuanya non è di questo parere. Egli dice che i vescovi africani hanno parlato in base alla fede in Cristo e non in base alla loro cultura, la quale, se anche al suo proprio livello esprime una valutazione negativa della omosessualità, lo fa sul piano del diritto naturale e, quindi, in armonia con il messaggio di Cristo. Egli rifiuta anche l’accusa di avere una cultura arretrata, perché il valore delle culture si misura sulla natura della persona umana e su Cristo, e non su presunte culture superiori o più avanzate. Egli fa piuttosto capire che è la posizione attuale della Chiesa su questi temi a dipendere da una cultura particolare inadeguata, quella delle società liberali occidentali. Criticano quindi implicitamente il concetto di “aggiornamento” delle posizioni della Chiesa in materia morale come attribuzione alle culture di una pariteticità con il messaggio Cristiano. Essi rimangono fedeli alla tradizionale visione della inculturazione: le culture valgono nella misura in cui sono vie verso la natura umana e si sottomettono al giudizio di Cristo.   

C’è un braccio di ferro in atto tra Chiese africane e Chiesa romana che non riguarda solo alcuni dettagli, come appare con grande chiarezza dall’intervento del vescovo Fuanya.