Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giovanni della Croce a cura di Ermes Dovico
REGNO UNITO

Aborti a casa e complicanze, la bugia delle pillole “sicure”

Aumentate del 64% le richieste di ambulanze per le complicazioni legate all’assunzione a casa delle pillole abortive: sono i dati che emergono nel Regno Unito, dopo l’ulteriore liberalizzazione dell’aborto farmacologico. Crescono i rischi di aborto forzato. Ma l’ideologia abortista tira dritto, oltremanica come in Italia, a scapito dei bambini e delle stesse donne.

Vita e bioetica 07_09_2022

Più si prolungano e diventano radicali le “conquiste” dei gruppi abortisti, più vengono a galla le loro menzogne. Vedi da ultimo il caso del Regno Unito. Qui le richieste di ambulanze per complicazioni legate all’assunzione a casa delle pillole abortive sono aumentate nel 2020 di oltre il 64%. In termini assoluti si è passati dalle 380 chiamate d’emergenza del 2019 alle 624 del 2020, come si è scoperto grazie alle richieste sulla libertà di informazione avanzate in accordo al Freedom of Information Act.

L’aumento di complicanze fa seguito al nuovo quadro normativo introdotto nel marzo 2020 dal Governo britannico, che ha consentito di assumere tra le mura domestiche entrambe le pillole previste per l’aborto farmacologico, senza dover prima passare da un ospedale o una clinica. Basta una telefonata per riceverle via posta. Per completezza va detto che dal 2019 al 2021 è diminuito il tasso ufficiale di complicanze dell’aborto farmacologico (1,6 su 1000 aborti nel 2019, contro 1,1 nel 2020 e 1,0 nel 2021), ma il sito dello stesso Governo di Sua Maestà deve ammettere che ciò può essere dovuto a un difetto nella registrazione delle complicanze, alla luce della normativa più permissiva: «A causa del modo in cui vengono registrate le complicanze, per gli aborti in cui entrambe [le pillole] o la seconda pillola vengono somministrate a casa, è meno probabile che le complicazioni vengano registrate», si legge sul sito ufficiale.

Il nuovo schema sull’aborto casalingo - una delle tante misure connesse alla gestione del Covid - era stato presentato all’inizio come “temporaneo”, ma quest’anno il Parlamento l’ha reso permanente per Inghilterra e Galles. E ciò è avvenuto nonostante il 70% dei rispondenti a una consultazione voluta dall’esecutivo avesse in precedenza chiesto di terminare immediatamente l’allora provvisorio schema di aborto casalingo, visto il suo impatto negativo. Evidentemente hanno pesato di più l’ideologia antivita e le pressioni dei gruppi di interesse che dicono di essere dalla parte delle donne, ma poi ne ignorano o deridono le istanze. Nei giorni scorsi Ann Furedi, ex amministratore delegato del British Pregnancy Advisory Service (Bpas), il più grande fornitore di aborti in Gran Bretagna, ha parlato con GB News, ipotizzando che l’aumento delle richieste di ambulanze sia attribuibile a una «fase elevata di ansia», cioè a una reazione di panico seguita alle forti emorragie e agli intensi dolori causati dalle pillole abortive, sui cui effetti - concede qui la Furedi - bisognerebbe essere comunque più chiari.

Secondo un’indagine, oltre 10.000 donne (una su 17) che hanno fatto ricorso all’aborto farmacologico casalingo nel 2020 hanno poi avuto bisogno di assistenza ospedaliera: in particolare, il 5,9% di loro necessitava di cure a causa di aborti incompleti; il 3% ha richiesto l’evacuazione chirurgica dei resti del loro bambino abortito; il 2,3% è stato trattato per emorragie.

C’è poi la questione degli aborti forzati, che divengono più probabili nell’attuale quadro normativo oltremanica, in cui non è più necessario il contatto personale diretto tra la donna e il medico, venendo così a mancare uno strumento di verifica della reale volontà della madre del nascituro. Sempre GB News ha raccolto la testimonianza di Kirsty Deakin, 37 anni, spinta dal suo fidanzato a chiedere di ricevere le pillole abortive a casa. «Ho chiamato una clinica per aborti sperando che mettessero in dubbio la mia decisione - afferma Kirsty - perché in fondo sapevo che non volevo farlo. Non mi hanno nemmeno offerto un’ecografia… avrei potuto essere chiunque al telefono quando ho chiamato per le pillole».

Non si tratta di esperienze o opinioni isolate. Un sondaggio ha trovato che l’86% dei medici di base nel Regno Unito sono preoccupati dal rischio per le donne di incorrere in un aborto forzato in uno schema da telemedicina come quello avviato dal Governo nel 2020. Il contesto britannico, in generale, non rassicura. Da un altro recente sondaggio, commissionato dalla Bbc, è emerso che il 15% delle donne intervistate ha riferito di aver subito pressioni per interrompere la gravidanza contro la propria volontà.

I dati ufficiali svelano che gli aborti con entrambe le pillole assunte a casa hanno costituito il 52% di tutti gli aborti nel 2021, in quello che è stato peraltro l’anno record per il numero di aborti in Inghilterra e Galles: 214.869. Un triste record. Il Daily Mail fa anche notare che il National Health Service - che paga i fornitori di aborti - può avere vantaggi dalla diffusione dell’aborto farmacologico. Vantaggi sia in termini di liste d’attesa che economici, ma che spesso si risolvono in maggiori complicazioni per le donne. Il Mail racconta, tra le altre, la vicenda di Emily Price, 23 anni, che a maggio, scoprendo di essere incinta, ha deciso di telefonare al Bpas per ricevere le pillole abortive. «L’infermiera mi ha detto che avrei potuto provare un po’ di dolore». Qualche ora dopo la seconda pillola la donna è finita piegata sul water, tra vomiti e urla: «Ho un’elevata tolleranza al dolore. Ho ossa rotte e soffro di emicrania cronica, ma non ho mai sentito un dolore del genere. Ero terrorizzata», ha spiegato Emily nell’intervista - otto settimane più tardi - al quotidiano inglese, ancora sanguinante. «Le persone devono essere consapevoli che questa [l’aborto farmacologico, ndr] non è una via d’uscita facile».

Come non è una via d’uscita, aggiungiamo, nemmeno l’aborto chirurgico, che in media può avere meno complicazioni rispetto a quello via Ru486 ma rimane una strada moralmente illecita, che uccide vite innocenti e non “libera” affatto la donna; la sindrome post-aborto e la necessità di una guarigione innanzitutto spirituale ce lo ricordano.

Rimane il fatto che uno dei cavalli di battaglia dei gruppi abortisti è da sempre quello degli aborti clandestini, con la scusa che sia necessaria la legalizzazione per avere aborti “sicuri” per le donne. Ma nei Paesi dove la legalizzazione è già ottenuta da un pezzo, lo schema di propaganda cambia e si spinge per un’assoluta liberalizzazione dell’aborto farmacologico - finanche, appunto, con le pillole spedite a casa - nonostante i maggiori rischi per le donne, sempre più lasciate in balìa di sé stesse e, a volte, dei loro partner, nonché ingannate sulla realtà di un atto - sopprimere il proprio figlio - che il mainstream presenta banale come prendere una compressa.

Il monito che viene dal Regno Unito non è estraneo al contesto italiano, dove c’è una spinta simile alla liberalizzazione dell’aborto fai-da-te (con un’accelerata dalle linee guida del ministro Speranza in poi). Ma dove i dati - nonostante l’opacità delle relazioni ministeriali - parlano, vedi le complicanze da aborto farmacologico da cinque a sette volte superiori rispetto a quelle da aborto chirurgico nel 2019 e le ripetute denunce dell’Aigoc (qui la più recente, sui dati del 2020). E confermano che l’ideologia abortista non si cura né dei bambini né tantomeno delle donne.