Wojtyła e la Teologia del Corpo: la dimensione del dono
Ascolta la versione audio dell'articolo
Riscopriamo il retto significato dell’amore e della sessualità secondo il disegno del Creatore, avvalendoci delle catechesi che san Giovanni Paolo II dedicò alla Teologia del Corpo e, in particolare, alla dimensione del dono.

Amore e sessualità: è possibile oggi riscoprirne il valore? Si tratta di una sfida quantomai attuale che san Giovanni Paolo II ha voluto affrontare già all’inizio del suo pontificato. Infatti, dal 5 settembre 1979 al 28 novembre 1984 – con le sole interruzioni dovute all’attentato del 13 maggio 1981 e all’Anno Santo della Redenzione (1983) – il Papa polacco sviluppò un ciclo di catechesi sulla “Teologia del Corpo” (TDC) in occasione delle udienze generali del mercoledì, fornendo tutta l’attualità della visione della Chiesa sul corpo, sulla sessualità e sul matrimonio.
Tra i vari temi toccati, il Santo Padre dedicò diverse catechesi al tema dell’uomo nella dimensione del dono che qui vogliamo riprendere nella sua bellezza, soprattutto in un momento in cui la sessualità usa e getta e le derive Lgbt cercano in tutti i modi di distruggerne l’immagine originale. Giovanni Paolo II parte dal Libro della Genesi, il quale enuncia il principio dell’unità e indissolubilità del matrimonio, sottolineando come l’uomo e la donna – che portano in loro stessi l’immagine divina impressa nel corpo – si vedano prima di tutto «attraverso il mistero della creazione» (TDC 13 – 2 gennaio 1980). Uno sguardo nuovo, quello interiore, che permette a entrambi di conoscersi in modo pieno e distinto, creando quella «pienezza dell’intimità delle persone» e comunione nella quale, «attraverso la femminilità e mascolinità, essi diventano dono vicendevole l’una per l’altra».
Si introduce quindi una nuova dimensione, un nuovo criterio di comprensione e interpretazione: «l’ermeneutica del dono», la quale decide «della verità essenziale e della profondità di significato dell’originaria solitudine-unità-nudità». Viene così sottolineato come il corpo umano con il suo sesso, la sua mascolinità e femminilità, all’interno del mistero della creazione, è al contempo sorgente di fecondità e di procreazione, racchiudendo fin «dal principio» l’attributo «sponsale», cioè la capacità di esprimere quell’amore nel quale l’uomo-persona diventa dono e attua il senso stesso del suo essere ed esistere.
Dio, infatti, vide che non era bene che l’uomo fosse solo: in tale condizione egli non può realizzare totalmente la sua essenza di persona che raggiunge soltanto esistendo «con qualcuno» e, in modo ancora più profondo, esistendo «per qualcuno» (TDC 14 – 9 gennaio 1980). Uomo e donna, «per poter rimanere nel rapporto del “dono sincero di sé” e per diventare un tale dono l’uno per l’altro», debbono essere liberi della stessa libertà del dono, libertà «indispensabile perché l’uomo possa “dare se stesso”, (...) “ritrovarsi pienamente”» (TDC 15 – 16 gennaio 1980). «Il corpo umano, orientato interiormente dal “dono sincero” della persona, rivela non soltanto la sua mascolinità o femminilità sul piano fisico, ma rivela anche un tale valore e una tale bellezza da oltrepassare la dimensione semplicemente fisica della “sessualità”» (ibidem). Diventando lui stesso dono e comprendendo che l’altro è qualcuno voluto dal Creatore, unico e irripetibile, egli diventa capace di esprimere l’amore.
La realtà del dono – afferma papa Wojtyła – conferma che l’irradiazione dell’Amore è parte integrante del mistero della creazione: «Soltanto l’Amore crea il bene» e la sua presenza porta all’ermeneutica del dono. (TDC 16 – 30 gennaio 1980). «La felicità originaria, il “principio” beatificante dell’uomo che Dio ha creato “maschio e femmina” (Gen 1,27), il significato sponsale del corpo nella sua nudità originaria»: questo dono, che va nella profondità più intima e che si riflette nella reciproca “esperienza del corpo” di uomo e donna, «testimonia il radicamento dell’Amore».
Così, l’esperienza reciproca del corpo e del suo significato sponsale – come definisce Genesi 2, 23-25 – rivela l’esperienza beatificante del significato del corpo, alla cui radice vi è la libertà interiore del dono unita all’innocenza (TDC 17 – 6 febbraio 1980). Ciò permette di comprendere come l’innocenza interiore – ovvero la rettitudine di intenzione – consiste nello scambio del dono, in una reciproca “accettazione” dell’altro, in modo da corrispondere all’essenza stessa del dono. Ed è proprio dalla donazione vicendevole che si crea la comunione di persone, l’accogliere l’altro e l’accettarlo poiché, all’interno di questa mutua relazione, l’uomo e la donna «diventano dono l’uno per l’altra, mediante tutta la verità e l’evidenza del loro proprio corpo».
Il contrario di questa “accoglienza” o “accettazione” dell’altro come dono «sarebbe una privazione del dono stesso e perciò un tramutamento», una riduzione dell’altro a oggetto, ciò che segna «l’inizio della vergogna» che inizialmente non era presente e che «testimonia il crollo interiore dell’innocenza nell’esperienza reciproca». Dunque, l’essenza dell’amore consiste nel “dono sincero di sé” poiché è nell’amore che la persona rinuncia alla sua inalienabilità scegliendo di donarsi a un altro. È il dono di sé, della persona integrale.
Si comprende, dunque, il perché i rapporti sessuali sono legittimi solo se coniugali. Solamente nel matrimonio, infatti, può realizzarsi tale appartenenza reciproca: il rapporto sessuale deve scaturire dalla reciproca donazione e non viceversa. Nel mistero della reciprocità, l’amore vede l’uomo desideroso di donarsi e di accogliere il dono dell’altro. Qui sta la norma personalistica che permette di non restare legati solamente a valori sessuali e sentimenti, ma di vivere la sessualità nella sua pienezza, in modo vero e profondo.
«Così assolsi a distanza Livatino, giudice che viveva la fede»
Per il 35° anniversario dell’uccisione di Rosario Livatino, la Bussola intervista don Filippo Barbera, il sacerdote che il 21 settembre 1990 diede al futuro beato, crivellato di pallottole dai mafiosi della Stidda, l’assoluzione sub conditione.