Vertice di Tienjin, un blocco anti-occidentale che non c'è ancora
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Il vertice dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai ha visto l'allineamento di Putin, Xi Jinping e Modi, delle tre grandi potenze asiatiche. Hanno per ora interessi convergenti contro l'Occidente a guida Usa. Ma nel lungo periodo è più quel che li divide che non quel che li unisce.

Il vertice dell'Organizzazione di cooperazione di Shangai, tenutosi a Tienjin in Cina, costituisce un'aggregazione di paesi che ormai vale, dal punto di vista economico, un quarto del Pil globale, e che dal punto di vista politico appare altrettanto in ascesa, tanto da suscitare in Occidente la concreta preoccupazione per la nascita di un possibile schieramento alternativo ad esso.
L'Organizzazione, nata nel 2001 come coordinamento tra Pechino, Mosca, Minsk e le repubbliche ex sovietiche centro-asiatiche, oggi conta 10 membri, con l'ingresso di India, Pakistan e Iran. Essa si è andata quindi in parte sovrapponendo al forum dei BRICS, ed è diventata una delle articolazioni di quella vasta area del mondo che viene ormai comunemente denominata "Sud globale", ad indicare un insieme di paesi non occidentali, prevalentemente asiatici o africani, che nel periodo della globalizzazione hanno acquisito un peso politico che erano ben lontani dall'avere nell'epoca della guerra fredda.
In questo momento della politica internazionale, poi, un incontro come quello di Tienjin rappresenta per i tre maggiori membri della SCO (Cina, Russia e India), per motivi diversi, una preziosa occasione per lanciare un efficace messaggio propagandistico all'Occidente e agli Stati Uniti.
La Cina di Xi Jinping, innanzitutto, si presenta come il leader indiscusso dell'"altro mondo". La sua economia è cresciuta in misura spettacolare negli ultimi 25 anni. Il suo PIL, che era tre volte più grande di quello di Russia e India nel 2001, oggi li sopravanza rispettivamente di 9 e 4 volte. Essa ha acquisito stabilmente l'egemonia sulle repubbliche centroasiatiche, su gran parte dell'Indocina, su Sri Lanka, su una porzione importante di Africa ed America latina, e si propone legittimamente come seconda superpotenza mondiale. Benché oggi la sua influenza nel Medio Oriente, esercitata soprattutto attraverso l'Iran, abbia subito colpi importanti grazie all'azione combinata di Stati Uniti e Israele, Xi tiene a far sapere a Trump, ai G7, alla NATO di poter competere con loro da pari a pari sullo scacchiere mondiale.
Dal canto suo Vladimir Putin, mentre continua a tenere in scacco i negoziati per porre fine alla guerra Mosca-Kiev, fortemente voluti da Trump, e prosegue il conflitto da una posizione di indubbio vantaggio militare, usa con consumata astuzia tattica il vertice della SCO per esercitare una pressione psicologica, e per ribadire ai paesi occidentali quanto in questi anni era già emerso con chiarezza: per quanto essi lo trattino come un "paria" o un criminale di guerra, e cerchino di forzarlo a una pace a condizioni per lui svantaggiose, egli può contare sull'appoggio, la legittimazione e la solidarietà di un "altro mondo" forte e destinato a contare sempre più in futuro.
Ma la presenza politicamente più "pesante" al vertice di Tienjin, quella che apre i maggiori interrogativi sugli sviluppi futuri delle relazioni internazionali, è indubbiamente quella del premier indiano Narendra Modi. Non tanto perché i suoi rapporti con gli altri due attori principali dell'Organizzazione, già consolidati attraverso i BRICS, siano una novità, ma perché è evidente che egli ha voluto caricare la sua partecipazione all'incontro di significati politici proprio in relazione ai rapporti attualmente intercorrenti tra il suo paese e gli Stati Uniti. Come è noto, proprio nel tentativo di esercitare pressione su Putin per indurlo a venire a più miti consigli sulle trattative con Kiev, Donald Trump nelle settimane scorse ha varato pesanti dazi aggiuntivi nei confronti delle importazioni da Nuova Delhi, fino al 50%, motivati principalmente dal fatto che l'India continua ad acquistare in misura massiccia petrolio russo a prezzi scontati, consentendo a Mosca di aggirare le sanzioni occidentali. Questa mossa ha gravemente alienato i rapporti tra i due paesi, già precari per lo stallo delle precedenti trattative sulle tariffe e per la concorrenza indiana sulla localizzazione delle aziende hi tech americane. Ora Modi, con la sua presenza al fianco di Xi e Putin, vuole sottolineare come il suo paese non abbia bisogno di una relazione preferenziale con gli Stati Uniti, e abbia al contrario valide alternative ad essa.
La convergenza tra i tre principali leader della SCO in tal senso è rispecchiata dal comunicato comune sulle principali questioni internazionali, che sembra essere fatto apposta per esprimere la retorica "cinese": difesa del regime iraniano contro l'attacco di Stati Uniti e Israele, appello per la pace a Gaza e soprattutto sottolineatura della necessità di rispettare la sovranità e autonomia dei diversi paesi contro "ingerenze" esterne, ovviamente occidentali.
Tuttavia occorre domandarsi: è realistico pensare alla SCO come ad un vero e proprio schieramento alternativo all'Occidente? La risposta allo stato attuale non può che essere negativa. Le convergenze tattiche tra i paesi aderenti all'Organizzazione o al forum non eliminano le grandi diversità e contraddizioni di principi e interessi che sussistono tra loro. La SCO, come e più dei BRICS, è per ora ben lontana dall'essere un nuovo "Patto di Varsavia", ed è priva della compattezza dei G7.
In particolare, poi, se Modi viene spinto dal braccio di ferro con gli Stati Uniti a rinsaldare i suoi rapporti con Pechino, è pure vero che l'India ha sempre avuto, e continua ad avere, interessi geopolitici estremamente divergenti e conflittuali rispetto alla Cina, e si può prevedere che cercherà di evitare ad ogni costo di diventarne vassalla. Il passo falso indubbiamente compiuto da Trump con la forzatura sulle tariffe non annulla il fatto che negli ultimi anni Nuova Delhi ha costruito relazioni sempre più strette con gli Stati Uniti, che le sono essenziali proprio per sfuggire alla "trappola" cinese: in particolare con la partecipazione all'accordo IMEC, o "Nuova via del cotone", per un corridoio infrastrutturale commerciale dall'Oceano Indiano al Mediterraneo attraverso Arabia Saudita e Israele. Per non parlare poi della presenza, per lei imbarazzante, nella SCO del Pakistan, con cui fino a pochi mesi fa è stata in guerra, fermata proprio dalla mediazione del presidente americano. Si può prevedere che nel prossimo futuro Modi e Trump torneranno a parlarsi, e avranno entrambi interesse a ricostruire un rapporto.
In quanto a Putin, egli sa benissimo che già oggi si trova in una posizoine pericolosamente subordinata rispetto a Pechino. E, se usa il gioco di sponda per guadagnare qualche posizione nel gioco negoziale dell'Ucraina, deve stare però molto attento a controbilanciare l'ingombrante "protezione" di Xi proseguendo sulla strada di ricostruzione delle relazioni con gli Stati Uniti aperta dal vertice di Anchorage, per evitare che il suo paese venga definitivamente fagocitato dal Dragone.
Infine, è evidente che il regime iraniano, nonostante le difese d'ufficio dell'organizzazione, ne rappresenta un membro molto imbarazzante per i principali "azionisti". Che infatti non hanno mosso un dito quando è stato attaccato da Gerusalemme e Washington, e sanno bene che negli equilibri mediorientali esso è stato inequivocabilmente, forse definitivamente, ridimensionato.
Insomma, l'"Anti-Occidente" a guida cinese per ora è soltanto una prospettiva ancora lontana dal concretizzarsi. Tuttavia, l'Occidente farebbe bene a non sottovalautare la sua possibile evoluzione futura. E a porre in atto ogni sforzo per separare i suoi principali contraenti, sottraendo per quanto possibile Mosca e Nuova Delhi all'egemonia di Pechino.