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FRANCESCO E MADURO

Venezuela, la Chiesa in lotta per i diritti umani

L'incontro fra Papa Francesco il presidente venezuelano Nicolas Maduro parrebbe suggerire buoni rapporti fra Santa Sede e Venezuela. Dietro le apparenze, però, la Chiesa venezuelana denuncia le gravi violazioni di diritti umani nel paese, illustrati al Papa da monsignor Luckert Leon.

Esteri 06_06_2015
Nicolas Maduro

Mentre si parla del disgelo tra gli Stati Uniti e Cuba, scarsa attenzione viene dedicata alla crisi venezuelana che per molti aspetti, economici e politici, sta diventando una minaccia per la stabilità del continente americano.  Una situazione convulsa, ben nota in Vaticano, che potrebbe degenerare in episodi di maggiore violenza e che porterà Papa Francesco a ricevere, domenica 7 giugno, il presidente del Venezuela Nicolas Maduro. È opportuno ricordare le manifestazioni in piazza tra il febbraio e il marzo 2014, durante le quali 53 venezuelani sono stati uccisi a causa dell’uso indiscriminato della violenza da parte della polizia, dell’esercito del governo di Maduro e dei gruppi paramilitari protetti dal governo.

Questo incontro potrebbe indurre a pensare che la chiesa sia d’accordo con il governo venezuelano, ma non è così. Sicuramente ci saranno più spine che rose. In Venezuela la chiesa cattolica ha svolto un ruolo molto attivo di critica contro il governo e numerosi documenti della Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV) lo confermano. Dato il continuo peggioramento della situazione, l’arcivescovo di Coro e vescovo di Punto Fijo, monsignore Luckert Leon, ha anticipato Nicolas Maduro e ha incontrato il Santo Padre giovedì 28 maggio per chiedere la sua intermediazione nella grave crisi venezuelana e soprattutto la liberazione dei prigionieri politici, alcuni a rischio di morte.  

La riunione tra monsignore Luckert Leon, presidente della Commissione per la giustizia e la pace della CEV, e Papa Francesco è durata 20 minuti. Un tempo sufficiente per fare una diagnosi della crisi politica, economica e sociale del Venezuela: “Mi ha ascoltato con grande attenzione, gli ho lasciato dei documenti da leggere successivamente. Mi ha detto che segue da vicino tutto quello che sta accadendo nel paese, soprattutto la situazione di violenza e quella dei prigionieri politici”. 

Nel frattempo la tensione in Venezuela cresce di giorno in giorno. Prosegue lo sciopero della fame degli oppositori; ad oggi sono 19 i cittadini che non mangiano da giorni. Un’iniziativa estrema, partita in carcere il 23 maggio dai due leader dell’opposizione Leopoldo Lopez e Daniel Ceballos. I due ex sindaci, dalla prigione, esigono la liberazione delle ultime 77 persone rimaste in carcere (dal febbraio 2014 sono state 3.757 le persone arrestate). Il loro gesto ha ispirato migliaia di venezuelani, che il 30 maggio sono scesi di nuovo in piazza pacificamente. 

L’arcivescovo di Caracas, il card. Jorge Urosa Savino, ha fatto visita lo scorso martedì agli studenti in sciopero della fame nella chiesa di “Nuestra Señora Las Mercedes”. Il porporato è preoccupato per la vita dei manifestanti: “Dovete interrompere lo sciopero, abbiamo bisogno dei giovani venezuelani vivi, non morti, dovete continuare la vostra lotta”, ha affermato rivolgendosi ai ragazzi e ritiene che questa azione strema sia un segno del fatto che la situazione politica del Paese non è migliorata negli ultimi mesi.  Gli studenti esigono dal governo la liberazione dei loro compagni, in carcere da più di un anno, e hanno anche fatto un appello scritto a Papa Francesco: “Abbiamo fede in Dio, abbiamo fede nella chiesa e nel Papa”.

Lo scorso gennaio la CEV aveva avvertito della situazione. I vescovi venezuelani hanno pubblicato un lungo documento sulla crisi economica, politica e sociale del Paese, nel quale ribadivano la necessità di avviare un dialogo. “Purtroppo la risposta del governo è stata un’altra: non ascoltare chi dissente dalla sua linea politica e inasprire la repressione contro privati cittadini e politici, accusandoli di condurre una guerra economica e politica contro il governo”, afferma l’arcivescovo di Caracas.

Ma cosa succede in Venezuela? Il paese sudamericano vive la crisi economica, politica e sociale più drammatica della sua storia. Il FMI prevede un’inflazione del 96,8% verso la fine dell’anno, la più alta del mondo, e si prevede anche la contrazione economica più alta del continente, che potrebbe arrivare al 7%; secondo cifre ufficiali della Banca Centrale del Venezuela (BCV), le riserve sono calate a 18.211 milioni di dollari, il che significa il livello più basso registrato da settembre 2003. Non si trovano i generi alimentari di prima necessità; il Venezuela importa il 70% dei prodotti che consuma e le errate politiche cambiarie hanno promosso un mercato parallelo, che ha soltanto favorito l’impoverimento del popolo venezuelano, spingendo il “bachaqueo”, vale a dire la vendita dei prodotti di prima necessità, a prezzi che possono salire oltre il 100% del prezzo stabilito. Inoltre c’è una preoccupante assenza di medicinali; la Federazione Farmaceutica del Venezuela afferma che esiste una carenza di farmaci del 70%. Con questo panorama buio, il paese va avanti con un apparato produttivo distrutto, con una dipendenza del 96% dalla vendita del petrolio e con un grosso debito internazionale; dal 2008, soltanto dalla Cina, il Venezuela ha ricevuto finanziamenti per circa 50.000 milioni di dollari.

Venezuela, scaffali vuoti 

Il risultato? Durante gli ultimi 17 anni della “Rivoluzione Bolivariana”, il popolo venezuelano si è impoverito come non mai. Uno studio recente di tre importanti università venezuelane (UCAB, UCV e USB) conferma che nel 2014 il 48,4% dei venezuelani è povero; nel 1998, anno dell’avvento al potere del defunto presidente Hugo Chavez, il 45% dei venezuelani era povero. Di conseguenza oggi il Venezuela è succube di un tasso di criminalità elevatissimo: solo nel 2014 si sono contate 24.980 morti violente, vale a dire 82 morti ogni 100.000 abitanti (secondo l’Osservatorio Venezuelano della Violenza), cosa che fa del Venezuela il secondo paese al mondo per numero di omicidi. 

Cosa si aspettano i venezuelani dall’incontro tra Papa Francesco e Nicolas Maduro? Monsignore Luckert Leon ha affermato ai media venezuelani che “la chiesa deve essere dalla parte del popolo che soffre e che è stato trattato ingiustamente da un governo, incapace di rispondere alle esigenze e alle necessità del popolo per 16 anni. La chiesa deve assumere una posizione di denuncia per costruire. Noi non siamo dalla parte dell’opposizione; siamo dalla parte del paese che ha bisogno di una voce. Se le cose non cambiano, dobbiamo fare da intermediari per aprire gli occhi al mondo su quello che accade in Venezuela”. 

La CEV teme per la vita delle persone in sciopero della fame, ed è soprattutto in allerta per le condizioni di isolamento dei prigionieri politici Leopoldo Lopez e Daniel Ceballos (quest’ultimo chiuso in una prigione con delinquenti altamente pericolosi.) L’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’ONU ha fatto un appello per garantire ai due prigionieri le dovute attenzioni mediche e la CEV ha chiesto l’intervento della Croce Rossa Internazionale per garantire il loro diritto alla Vita.