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GIÙ LA MASCHERA

Utero in affitto, il folle tifo: «Abolirà la famiglia»

Si intitola Full Surrogacy Now ed è il primo libro di Sophie Lewis, una giovane studiosa che vuole la legalizzazione dell’utero in affitto e spera che questo passaggio porti «all’abolizione della famiglia». In favore di cosa? Di nuove «comuni» che promuovano il presunto ideale «polimaterno». E c’è chi l’applaude. Non vedendo che così si calpestano dignità e libertà umana.

Vita e bioetica 17_12_2019

L’utero in affitto potrà distruggere la famiglia? I bioeticisti più avveduti si misurano con questo dilemma da tempo, nella consapevolezza che la frammentazione delle figure genitoriali - in particolare di quella materna, scissa in «biologica», «gestazionale» e «sociale» - costituisce una minaccia seria, soprattutto in prospettiva futura. Praticamente nessuno, però, si era mai augurato che la cosiddetta maternità surrogata potesse destrutturare l’istituto familiare. Fino ad oggi, s’intende. Sì, perché è da poco stato dato alle stampe un libro che va esattamente in questa direzione.

Stiamo parlando di Full Surrogacy Now: Feminism Against Family (Verso, 2019), il primo libro di Sophie Lewis, una giovane studiosa e traduttrice anglo-tedesca, laureatasi a Oxford e residente a Philadelphia. Prima di giungere alle sue radicali conclusioni, la Lewis parte da una considerazione: il divieto dell’utero in affitto è una fissazione da femministe annoiate che non aiuta le donne, anzi. Le penalizza.

Il riferimento, qui, è alle madri surrogate indiane, notoriamente oggetto di sfruttamento al limite dell’umano, e a tutte quelle donne che vivono in cliniche che, scrive la Lewis, di fatto sono fabbriche. Purtroppo è esattamente così. Il problema è che la giovane intellettuale parte dalla constatazione di una questione concreta ancorché superabile (l’India sta rivedendo la sua posizione in materia di maternità surrogata, e la Camera bassa del Parlamento ha votato in via definitiva l’abolizione di quella «commerciale») per giungere a conclusioni sbagliate, per non dire folli.

L’autrice di Full Surrogacy Now - testo che non offre indicazioni chiare, apparendo un po’ un saggio e un po’ un manifesto - infatti non solo arriva a caldeggiare l’utero in affitto legale, ma si augura che questo passaggio sia impiegato per scardinare la famiglia in favore di «comuni», che promuovano l’ideale «polimaterno» che oggi sarebbe prerogativa dei soli bambini ricchi. La Lewis promuove una simile prospettiva dichiarandosi «disinteressatamente interessata all’abolizione della famiglia». Immaginiamo, afferma sempre l’autrice di Full Surrogacy Now, un mondo dove ciascuno genera l’altro in modo non competitivo, distruggiamo «la nozione di genitorialità ereditaria e moltiplichiamo solidarietà reali e amorevoli». Ora, sono idee assurde? Senza dubbio. Il problema è che vengono prese molto sul serio.

Infatti il libro di Sophie Lewis, almeno nell’ambito statunitense, è oggi un caso editoriale. Ha ricevuto molte recensioni positive. La femminista Donna Haraway, filosofa e fondatrice della teoria cyborg, ha definito la Lewis una «voce unica e stimolante» e anche il New Yorker ha dedicato un recente approfondimento proprio a Full Surrogacy Now, a dimostrazione che si tratta di un testo che propone una visione della società che affascina, soprattutto in un Occidente dominato dall’individualismo e desideroso di riscoprire relazioni oggi deteriorate.

Come rispondere, quindi, alle proposte della giovane scrittrice? Com’è evidente, le critiche possibili sarebbero molte. La mancanza di spazio ci costringe però a focalizzarci su tre di esse. La prima: la Lewis sbaglia perché pecca di miopia, non vedendo che il problema dell’utero in affitto non è il suo essere legale o illegale, ma la sua natura di pratica intrinsecamente abominevole e lesiva della dignità umana. Come seconda criticità, andrebbe fatto notare alla Lewis che «comuni» et similia sono già esistite nella storia, ma si sono sempre estinte, e sarebbe da chiedersi come mai. Per concludere, come terzo e ultimo rilievo, si deve ricordare che l’ideale «polimaterno» - oltre che delirante - non liberebbe l’uomo, ma lo asservirebbe a dinamiche collettivistiche e subordinate al dominio biotecnologico.

In altre parole, ciò che Sophie Lewis prefigura è la distruzione di una cellula di libertà, quale è la famiglia, in favore di una tirannia mascherata di buoni sentimenti. Ce n’è quindi abbastanza per guardare con enorme sospetto al suo libro, ma senza che lo si sottovaluti. Perché è proprio quando si ignora un’idea pericolosa che le si consente di ritagliarsi uno spazio - che non merita - nel dibattito culturale.