Trump nervoso al G7, sostiene Israele e ribatte alle critiche
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Il G7 in Canada è stato caratterizzato dal comportamento brusco di Donald Trump. Polemico con Macron, va via il giorno prima del previsto e litiga anche con i suoi fedelissimi. La guerra in Iran potrebbe essere la causa.

Il G7 di Kananaskis, in Canada, è stato caratterizzato dalla polemica sul comportamento di Donald Trump. Ha rimbrottato il paese ospitante, ha litigato con Macron, ha dichiarato che sarebbe stato meglio avere ancora un G8 con la Russia ed è andato via con un giorno di anticipo, evitando così di incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Almeno ha firmato la dichiarazione congiunta sulla nuova crisi nel Golfo, prima di lasciare il Canada. In un incontro a latere con Giorgia Meloni, «Abbiamo discusso dei principali dossier internazionali, con particolare attenzione alla situazione in Iran e in Medio Oriente. Abbiamo inoltre affrontato il tema delle relazioni economiche tra Ue e Usa, ribadendo l’importanza di rafforzare la cooperazione transatlantica», come ha dichiarato la premier italiana.
La spiegazione del rientro anticipato di Trump è ancora ignota. «Per cercare un accordo di cessate il fuoco in Medio Oriente», ha commentato il presidente francese Emmanuel Macron. Ma Trump lo ha subito seccamente smentito, definendo il suo omologo di Parigi come “un presidente in cerca di pubblicità”: «Non ha idea del perché io sia ora in viaggio verso Washington, ma non ha nulla a che fare con un cessate il fuoco. È molto più grande di questo».
La dichiarazione congiunta del G7 contiene l’auspicio per una de-escalation (che include anche un cessate il fuoco a Gaza), ma anche tutti gli elementi che riflettono maggiormente gli interessi americani. L’Iran, infatti, viene accusato di essere “la principale fonte di instabilità e terrorismo” del Medio Oriente. Viene ribadito che il regime di Teheran “non deve, in nessuna circostanza, acquisire un’arma nucleare” e che “Israele ha diritto a difendersi”.
Molti fedelissimi di Trump sono contrari al suo sostegno a Israele. Per otto ore, dopo l’inizio dei raid sull’Iran, il presidente americano ha taciuto, forse giusto il tempo di verificare i risultati della prima mossa israeliana, in tempo per smarcarsi in caso di insuccesso. Un silenzio interrotto solo da una laconica dichiarazione di Marco Rubio (Segretario di Stato) in cui si negava ogni partecipazione americana. Solo dalla mattina successiva, intervistato da Fox News, Trump ha dato il suo pieno appoggio ai raid, pur non chiudendo la porta a futuri negoziati. Lunedì 16, su Truth, social network di sua proprietà, il presidente Usa ha fatto le veci di un portavoce delle Forze di Difesa Israeliane (Idf), invitando addirittura i cittadini iraniani ad evacuare Teheran e affermando, usando la prima persona plurale: «ora abbiamo il controllo completo e totale dei cieli sopra l'Iran». La sua linea argomentativa, dal 14 giugno, è sempre quella: l’Iran avrebbe dovuto accettare l’accordo sul nucleare (proposto dagli Usa), non lo ha fatto ed ora ne subisce le conseguenze.
Ora Trump è molto determinato nel sostegno a Israele. Ha infatti attaccato, su Truth, pure Tucker Carlson, suo giornalista di riferimento sin dai tempi della prima amministrazione (e molto influente anche nella scelta del vicepresidente JD Vance), dandogli dello “strambo” e suggerendogli che “L’Iran non deve avere la bomba atomica”. Tucker Carlson, fedele alla linea isolazionista del movimento Maga, ha infatti chiesto di “mollare Israele” e scritto, con toni allarmistici, nella sua newsletter del 13 giugno: «Questa potrebbe essere l’ultima prima dello scoppio di una guerra totale». Nella conferenza stampa in aereo, di ritorno dal Canada, il presidente ha anche contraddetto Tulsi Gabbard, Direttrice dell’Intelligence Nazionale, che aveva sminuito la minaccia nucleare iraniana. Trump le ha risposto, a distanza, ieri: «Non mi importa cosa pensi lei. Penso che loro (gli iraniani, ndr) fossero molto vicini alla sua realizzazione (della bomba atomica, ndr)».
Se è difficile comprendere la politica estera di Trump, adesso, è perché il concetto stesso di America First (il suo motto di sempre) è evidentemente in fase di rielaborazione. La decisione di Trump di sostenere Israele contro l’Iran, secondo primi racconti di fonti vicine alla Casa Bianca, sarebbe stata presa non più tardi di febbraio. Vi sarebbero stati colloqui diretti fra ufficiali israeliani e membri del governo statunitense, fra cui soprattutto Michael Waltz, ex Consigliere della Sicurezza Nazionale, poi dimessosi in maggio. Una delle ragioni delle sue dimissioni è proprio la fuga di notizie sugli incontri segreti tenuti con le controparti israeliane.
La decisione, secondo fonti citate da The Free Press, sarebbe stata presa consultandosi con una ristretta cerchia di ministri e dirigenti: il Segretario di Stato Marco Rubio, il Segretario alla Difese Pete Hegseth, il direttore della Cia John Ratcliffe, oltre al vicepresidente JD Vance e alla sua capo di gabinetto Susie Wiles. Sicuramente anche l’inviato speciale nel Medio Oriente e Russia, Steve Witcoff, era informato dei fatti.
Il ruolo diretto degli Usa, in questo conflitto, è solo difensivo: proteggere Israele dalle rappresaglie iraniane, partecipando all'intercettazione dei missili. Ma anche a livello di pianificazione e intelligence, gli Usa hanno aiutato e stanno aiutando l’Idf. Anche Elon Musk, nonostante i recenti dissapori con il presidente, fresco di riconciliazione, starebbe dando una mano. Mettendo a disposizione Starlink ai cittadini iraniani, permette loro di comunicare aggirando la censura di Stato, favorendo indirettamente il dissenso contro il regime.